Da tanti anni mi capita di trascorrere fuori dall’Italia, regolarmente, se non per fissa dimora, periodi piu’ o meno lunghi. La causa principale e’ il lavoro, come causa secondaria c’e’ la famiglia di origine di mia moglie, come ultima e molto meno importante il turismo.

Grazie alle prime due cause, mi e’ capitato di vivere dei momenti alquanto bizzarri e curiosi, dovuti ad incontri con personaggi singolari che data la mia provenienza geografica di origine hanno avuto ammirazione nei miei confronti… si avete letto bene, per la mia sola provenienza di origine, oppure perche’ me l’hanno fraintesa in un qualche modo. Dato che di codesti episodi me ne sono capitati tanti, vorrei ricordarne due soltanto, in comune hanno il mio rapporto con l’estero e il suo transito con l’Argentina.

1000x-1Buenos Aires 2006/7. Nelle vacanze natalizie di quel periodo, mi recai in Argentina per il matrimonio di una coppia di carissimi amici. Trascorsi tra la capitale portena, Mar del Plata e Mendoza quasi tre settimane, ma fu in uno dei miei ultimi giorni passati a Baires, che mi imbattei in un’esperienza che rammento ancora con un certo velo di malinconia. Ricordo che presi un taxi in Avenida 9 de Julio , per dirigermi verso la casa del mio amico che mi ospitava in quei pochi giorni nella capitale, prima di reimbarcarmi in aereo direzione Torino. Vado a memoria e se non erro, la casa in cui dovevo andare era ubicata a meta’ di Avenida Estados Unidos. Feci cenno ad un taxi di fermarsi, pertanto una volta accostatosi, salii sulla vettura e notai come alla guida ci fosse un taxista anziano, che sicuramente aveva piu’ di 60 anni, anzi potrei tranquillamente affermare che era molto piu’ vicino ai 70 che ai 60. Nel mio castigliano fornii le coordinate di arrivo, e nel suo volto che potei scorgere dallo specchietto retrovisore, mi disse subito: “Usted es italiano verdad?”. In un paese in cui tutti vantano una veritiera o fantomatica origine italiana, la domanda mi suono’ alquanto banale. Non volli fare lo scortese, risposi di si. Lui continuo’ dicendomi: “Yo soy hijo de calabreses, en Paola tengo aun unos de mis parientes, ma sobre todo alla’ esta enterrado mi padre”. Trasse un sospiro di sollievo che mi sembro’ quasi piu’ un sussulto, e con voce segnata dall’emozione mi chiese: “Usted de que parte de Italia viene?”. Guardando sempre di striscio dallo specchietto, ricordo il suo berretto in testa sui radi capelli bianchi, una montatura di occhiali nera di acetato, gli occhi piccoli, i baffetti che gli tornivano il labbro superiore bianchi, ma dorati dagli anni di fumo… Riflettei un attimo per capire dove avevo gia’ visto quel volto, che mi sembrava alquanto famigliare, poi mi si paro’ davanti un immagine fotografica vista anni prima, nel mio primo soggiorno argentino ed era quella dello scrittore Ernesto Sabato. La sua somiglianza con lo scrittore argentino era ai limiti dell'(im)possibile, un gioco alquanto bizzarro del destino.  Risposi che ero pugliese, che in Calabria ci ero stato alcune volte, un paio di volte fermandomi, un paio di altre volte per andare in Sicilia, una volta tra l’altro facendo tappa a Paola, ed ammirando la sua splendida spiaggia ghiaiosa, e lo scoglio della Regina. A quella mia ammissione, capii che qualcosa in quel tassista si muoveva nelle sue corde dell’anima. Il viaggio in auto duro’ ancora qualche minuto, il tempo sufficiente per rendere possibile qualche altra domanda quale: “Usted cuando vuelve a Italia?”. Gli dissi che sarei ripartito di li’ a qualche giorno, e mentre dicevo queste parole, arrivo’ al punto in cui avevo indicato mi dovessi fermare e scendere. Accosto’, fermo’ l’auto e gli chiesi quanto gli dovevo. Mentre gli porgevo la domanda, lui si volto’ verso di me, guardandomi in faccia e dicendomi: “Usted tiene suerte. Volvera’ a Italia, donde tiene a su familia, sus padres, sus amigos. Lleve a Italia mi pensamiento, cuando llegara’ ahi’, se acuerde de mi, que nunca mas podre’ volver, ni ver a mi padre y la tierra donde el nacio’ e crecio’, la tierra que me da todavia sentido para vivir”. Rimasi interdetto qualche secondo ma mi parve un’eternita’. Notai il volto che gli si intristiva, gli occhi lucidi, la voce sussurata e quasi afona che gonfia nelle ultime parole, mi riecheggiava in testa. Ruppi quella densita’, dirigendo la mia mano verso il portafogli per poter prendere una banconota, ma lui mi fermo’, e mi fece cenno che non era necessario pagare, lasciandomi detto: “Hijo, veo en tu cara una buena persona, si me queres’ pagar, se acuerde de mi”. Restai ancora senza parole, e anche solo guardando una lacrima che gli scendeva sul volto, percepii tutto il dolore e la grazia che in quell’uomo accompagnava la sua vita di sradicato, in cerca di legami con qualcosa, con la sua anima, prima ancora che con i suoi cari. Lo ringraziai, e lo salutai dicendogli che avrei portato con me il suo pensiero in Italia, non me ne sarei dimenticato. Lo pensai a lungo anche nel mio ritorno a Torino, la sua immagine “triste, solitaria y final” riverbero’ nelle corde della mia anima per molto tempo. Poi, dopo anni, esattamente 10, per la solita danza della realta’, lessi l’ultimo libro di Ernesto Sabato (“Prima della fine”);  autobiografia e testamento di ricordi dell’autore argentino che tanto somigliava a quell’uomo anziano perso tra le avenidas bonaeresi. Mentre leggevo, sovvennero alla mia mente tutti i dettagli di quel breve viaggio in auto, parole, sguardi, silenzi, emozioni. Andando avanti tra le pagine, arrivai ad una pagina in cui lo scrittore  argentino parlava di suo padre, della sua terra di orgine, del paese in cui era nato: “Paola, in Calabria”. A distanza di piu’ di 10 anni, era come se un cerchio si fosse chiuso, nonostante in Calabria da allora, non ci sia piu’ andato/passato. Lessi quelle parole che riporto in un corsivo piu’ in basso. La consonanza tra quanto mi accadde, e quanto lessi in quelle righe era qualcosa di impressionante, da togliere il fiato, e faceva il paio tra la somiglianza fisica dei due personaggi in questione: il tassista e lo scrittore, speculari ed identici in un spazio di alcuni minuti allora, in poche righe ancora. Le parole riportate nel libro mi fecero molto probabilmente capire il perche’ di quel dolore in quell’uomo, e forse il perche’ di tante cose nella mia vita. Argentina… patria di melanconiche poesie, interminabili viaggi eterei, desde Avenida 25 de Mayo hasta un qualsiasi posto, lontano, che puo’ essere fuori o dentro di ciascuno di noi, parafrasando una canzone della mia gioventu’.. simbolo di legami, rapporti, parole ed emozioni.

Quando l’amore e’ inesprimibile e le vecchie ferite non sono sanate allora scopriamo l’ultima solitudine: quella dell’amante senza l’amato, dei figli senza i genitori, del padre senza i figli. Molti anni fa andai sino a Paola, la cittadina della Calabria dove un giorno mio  padre si innamoro’ di mia madre, e mentre intravedevo la sua infanzia in quelle terre che lui rimpiangeva, mi si velarono gli occhi”. Ernesto Sabato, Prima della Fine. “Chiedo venia per i dialoghi riportati in castigliano. Traducendoli avrei perso molto del racconto. Per chi desidera posso fornire traduzione nei commenti. Sono frasi di poche parole, e l’estrema vicinanza tra le due lingue, credo possa rendere comunque comprensibile il tutto”

IMG_0839Dunkerque, Settembre 2019. Appunti al ritorno dalla Francia. Esistono storie che varcano confini ed arrivano in posti lontani, viaggiando sulle ali dei sogni. Ieri mentre mi apprestavo a tornare in Belgio dalle Fiandre Francesi, mi sono fermato in un bar sul lungomare di Dunkerque per un caffe’ espresso. È forse l’unico vizio di italianità che mi resta e che non riesco a togliermi dopo tanti anni di mescolanza ed addizione con gente che non proviene dalla mie abitudini e dalle mie terre. Fuori, il tempo sembra voler dipingere per chi ancora non lo conoscesse in fondo -come me- un ritaglio di Atlantico spinto a Nord, in un mare che seppur chiuso ha tutte le sembianze delle vastita’ di un oceano. Una pioggerellina fine mi ha velato il viso ed inumidito i  miei capelli rendendoli ancora piu’ neri del colore che hanno. Il mare invece, sulla base della danza lunare, lasciava spazio ad una immensa battigia di sabbia grigia dove alcuni adolescenti ben imbacuccati, sfidavano vento ed oceano giocando a calcio su quella melma. Arrivato nel bar, mi siedo ad un tavolino dopo aver ordinato al banco il mio caffe’. Cominciavo ad osservare il mare scuro lontano, le nuvole grigie, i fumi che uscivano dalle ciminiere delle tante fabbriche che avvolgono questo lembo estremo e remoto di Francia. Quando mi e’ arrivata la tazza, con sorpresa ho letto una targhetta con su scritto: Florio. Il barista mi si e’ avvicinato e con la timidezza tipica della gente di questa provincia mi dice in un italiano molto preciso e ben scandito nel mascherare l’accento francese: “Pensavo fosse spagnolo o argentino o figlio di italiani appena è entrato. Poi dal modo di chiedere il caffè ho capito che lei è italiano di nascita”. Io di solito che non amo vantarmi a prescindere delle mie origini resto attonito, sia dalla sua istantanea fotografica, sia dal fatto che mi abbia parlato in italiano, li’ nella cuspide estrema a Nord della Francia, sia perche’ sulla tazza nera del caffe’ che mi ha servito, un nome italiano e’ stampigliato in caratteri dorati: “Florio”. Vorrei chiedergli da cosa ha capito tutto cio’, ma alla fine bloccato cambio il discorso e gli chiedo come mai ha delle tazzine con su scritto quel nome. Mi risponde che nei suoi tanti viaggi di lavoro in Europa e Sud America ha conosciuto la leggenda di questa famiglia e che compro’ quelle tazzine a Buenos Aires più di 20 anni fa. Mi dice che l’Italia è un paese di leggende, ed e’ qui che sta la sua grandezza. Resto stupito, lascio il mio euro. Mi saluta con un arrivederci. Scopro che la “leggenda” dei Florio è arrivata in questo sperduto e dimenticato angolo di Francia, proprio come sperduta e dimenticata e’ la loro storia, e la storia di questo barista. Pendolare anche lui come me, tra le sponde di tanti mari.

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