Il 31 maggio prossimo, Clint Eastwood compirà 90 anni. Siccome non credo nella sfortuna (né tantomeno nella fortuna) gli faccio sin da adesso i miei auguri per le sue 9 decadi, ringraziandolo per le pagine di grande cinema che ha regalato a partire dai celeberrimi western di Leone fino alle magnifiche opere che ha realizzato come regista negli ultimi vent’anni.

Non vorrei cadere nella retorica tessendone le lodi, men che meno essere adulatorio o agiografico, però sfido chiunque a trovare un regista che ha realizzato almeno dieci perle e pietre miliari in quest’arte, ed è riuscito altresì nell’intento di fare ottimo intrattenimento, quando ha avuto “soltando voglia” di firmare dei film per divertirsi.

Tra qualche giorno, mentre si aprirà per lui la sua decima decade, raggiungendo in questa personale classifica delle età, un altro mostro del cinema come Manoel De Oliveira, ricordo altresì il tanto ostracismo a cui è stato sottoposto prima come attore, soprattutto negli anni ’60 (il famoso: “ha due espressioni, con la sigaretta/pistola e senza) e poi come regista o come attore protagonista, nelle serie di Callaghan, ma non solo.

Personalmente credo che sia stato un grande attore anche ai suoi inizi, ma che col tempo, egli sia andato ingrandendosi sempre di più, quasi fiorendo. Questa è una dote rarissima, che spetta ai grandi illuminati di solito, quella cioè non solo di non peggiorare col tempo, ma addirittura di migliorare con gli anni, come artista, sicuramente come esseri umani. Già nel primo anno di blog, scrissi come la vecchiaia “avesse fatto del bene” a Clint, ma non voglio essere così riduttivo. Penso che il nostro abbia avuto un percorso artistico che l’ha portato a scrivere pagine di una poetica cinematografica sempre più ricca, ma allo stesso tempo capace di intercettare le cose che più di tutte il suo paese di origine, ha perso: il contatto con i propri padri e la caduta del cielo sulla terra. Nel primo caso, la patria che trasformatasi semplicemente nel concetto di terra, ha fatto perdere ai suoi figli ogni connotazione di legame etico e morale con i padri fondatori e con i loro principi (qui infatti nasce a mio avviso il suo capolavoro più grande: “Gli spietati”) e poi la caduta generale di ogni legame col divino (il cielo che crolla sulla terra, e il concetto di coscienza che subentra al paradigma della divinità, qui la rottura è avvenuta con “Fino a prova contraria”).

Non aggiungerò altro e non farò analisi sofisticate sul suo cinema, mi premeva solo evidenziare i due punti di cui sopra, e stilare due classifiche sulla sua carriera. La prima è una classifica sui film che personalmente reputo i migliori, uno per ogni decade; la seconda una classifica ancora più personale, che cerca di abbinare al film, alcuni miei ricordi e stati d’animo non trascurabili.

Anni 70: “Lo straniero senza nome“. Lo reputo il completamento del personaggio de “Il biondo” della trilogia del dollaro di Sergio Leone. E’ forse l’ultimo film di quella che potremmo definire la fase “giovanile”, almeno come regista. Non vi è alcuna traccia di morale, etica, giustizia, senso dello stato. L’essere umano è solo davanti ad un mistero più grande di lui. Non c’è spazio alcuno per la redenzione. Si nasce e si muore soli (la scena finale è emblematica al riguardo) e difendere il proprio spazio vitale, non vuol dire essere politicamente scorretti, significa dare a ciascuno il diritto inalienabile alla propria libertà personale. CE come conservatore.

Anni 80: “Bird“. La storia di Charlie Parker diventa per la prima vera volta nella sua filmografia, la sfida per penetrare i lati più oscuri (ma al tempo stessi ricchi di suggestioni e di “mistero”) dell’animo umano. Ricordo ancora oggi la fotografia scura, soffusa e calda. Un film che mi ha fatto spesso pensare alla frase più bella di tutta la discografia di Battiato: “Cercare l’alba dentro l’imbrunire”. CE come mitologo.

Anni 90: “Gli spietati“. E’ il film che chiude per sempre il genere western, riassumendo in sé, i significati più grandi che esso ha avuto nello scenario americano e non solo: la spinta educativa di John Huston, la perdita di innocenza di Sergio Leone, il ricordo elegiaco e morente di un’epoca di Sam Peckinpah. Non ho paura a dire che è il suo film migliore, uno dei primi dieci nella storia del cinema. CE come pittore moderno.

Anni 2000: “Million Dollar Baby“. Difficilissimo scegliere per questa decade, quella che io ritengo la più ricca di gioielli. Million Dollar Baby è però sicuramente quello che più di tutti mostra l’angoscia della smarrimento dell’animo umano, e la ricerca di un appiglio nella coscienza, come luce (debole, fioca ed incerta) nelle tenebre. CE come filosofo.

Anni 2010: “The mule-Il corriere“. Visto ieri sera. La forza devastante della relatività del bene rispetto al male (e viceversa), in una terra senza padri, in un universo senza cielo, in una storia senza più maestri. La possibilità di redenzione però arriva inaspettata. “Sei una pianta che ha fiorito troppo tardi” dice la figlia al protagonista. Forse vi è ancora un briciola di speranza. CE come “moralista”.

Qui, in breve riporto invece cinque titoli, che hanno avuto un impatto su di me, al di là del loro valore artistico e cinematografico:

– “Bronco Billy e Honkytank man”: Perché erano due film divertenti che rispecchiavano certa anarchia e desiderio di libertà degli americani, che ho scoperto poi vivendo un po’ negli Stati Uniti e che avevo intuito leggendo soprattutto Kerouac. Il piacere a volte di “fregarsene” di tutto.

– “Fino a prova contraria”: Lo vidi nel primo cineforum organizzato coi miei migliori amici al Politecnico di Torino. Uno dei miei amici mi disse che era un film stratosferico. Era infatti la rincorsa per “Changeling”, “Mystic River”, “Million Dollar Baby”, “Gran Torino”. Aveva ragione lui, e poi capii il perché.

– “I ponti di Madison County”. Mi imbattei nella sua visione, proprio mentre vivevo una storia d’amore simile a quella dei due protagonisti, al Torino Film Festival. La cosa ancora più allucinante fu che alla visione ci andai proprio con la ragazza con cui vivevo quella storia. Nessuno dei due sapeva la trama del film. A dimostrazione, che la realtà è una danza, e non un caso.

– “Gran Torino”. Visto a Torino in prima visione, pochi anni prima della mia partenza per il Canada. Lo rividi poi in Canada. Per uno strano gioco di associazioni, capii la grande importanza che nella mia vita aveva avuto la città di Torino. Il miglior posto dove avessi potuto vivere restando in Italia. Il film resta un capolavoro.

Quali sono i film di Eastwood a cui siete più legati? Ammesso che vi piaccia ovviamente.