Nei mesi scorsi ho avuto il tempo di leggere due saggi dedicati alla scuola italiana: “L’aula vuota” di Ernesto Galli delle Loggia (2019, Marsilio) e “Il danno scolastico” di Paola Mastrocola e Luca Ricolfi (2021, La nave di Teseo).
I due libri in questione sono facilmente assimilabili in una visione di nostalgia dei tempi andati (per quanto gli autori ci tengano a dire che la società è cambiata ed una scuola tipo quella degli anni 50/60 oggi è improponibile) e forniscono una fotografia della scuola attuale (spesso personale, a volte fondata su dati statistici), con un focus sulle scuole secondarie di primo e secondo grado. Il quadro che ne vien fuori è una fotografia abbastanza impietosa della scuola (Ricolfi è poi l’unico dei tre che parla anche di Università), specie se rapportata ad una delle funzioni piu’ importanti a cui la scuola è chiamata ad assurgere: quella di ascensore sociale. Il libro oggetto del titolo, su cui mi focalizzero’ nel post, si autopropone come saggio, cercando di trovare ed enumerare le cause di quanto esposto nella tesi: Il danno che la scuola italiana odierna infligge a coloro che sono meritevoli e capaci ma provengono da classi sociali piu’ svantaggiate. Questo perchè? Secondo gli autori e massicciamente dovuto all’aver abolito la premiazione del merito in primis, in secundis (ma anche come conseguenza del punto 1) per essersi “tarata” su standard di qualità di insegnamento molto bassi, pur di “promuovere tutti”. Ho fatto una esemplificazione forte, ma non credo di aver deragliato dal nocciolo della questione su cui gli autori si sono concentrati. Gli intenti sono quindi quelli testè descritti. Gli autori incedono nel libro attaccando in maniera frontale le riforme della scuola (tutte) dal 1962 (media unica) al 2013 (Berlinguer, Moratti, Gelmini) e finiscono per prendersela di striscio (ma neanche poi tanto) con Don Milani, reo di essere stato frainteso o forse di aver detto delle cose non corrette sulla scuola dei poveri, nella sua celebre “Lettera ad una professoressa” (onestamente nel libro, gli autori, specie la Mastrocola, sembrano andarci giù duro contro il parroco toscano). Questo il tiro di circa 2/3 del libro, in cui la caduta nel nostalgismo personale degli autori è spesso ai limiti del tollerabile, se la pubblicazione voleva avere un taglio saggistico (o al limite di pamphlet). Purtroppo non è cosi’, perchè la pubblicazione spesso procede nel solito autobiografismo contemporaneo di cui ho già ampiamente parlato e fatto tediare chi mi legge. E’ altresi’ possibile che io abbia interpretato male le intenzioni degli autori e che loro volessero scrivere un libro a metà strada tra memoir e indagine sociologica. Cio’ nonostante, appare evidente che tutto ruota intorno ad una raffronto: la scuola di ieri (anni 50-70; soprattutto preriforma del 1962?) funzionava come ascensore sociale, quella di oggi (1980? 1990? post riforma Berlinguer?) no.
Come ho potuto constatare scrivendo distrattamente di scuola qui sul blog, ma anche su altre piattaforme (una di queste era Quora, piattaforma che si autocelebra come lo spazio social per antonomasia degli specialisti.. in realtà spesso uno spazio di sofismo della peggior tradizione italica), in maniera non scientifica (direi in maniera piu’ empatica che empirica) e senza averne alcun titolo (sono un ingegnere, seppur con un passato di ricercatore precario nell’università Italiana e canadese), ho notato che è un argomento che suscita vampate di passioni, per poi finire in una stemperato clima di doccia fredda appena tutti hanno detto la loro (me compreso). Lo stesso effetto possono provocare questi due libri: una improvvisa vampata, che poi termina in un nulla di fatto. Mi sono chiesto il perchè e non sono riuscito a trovare la risposta.. o meglio le risposte cominciano ad arrivare, ma sono alquanto frammentate.
Ho già esposto in un altro post, una mia testimonianza sulla impostazione della scuola in Belgio (qui) e ci tengo a sottolineare che ogni paese, sulla base della propria storia e cultura, nonchè del proprio rapporto con la/le religione/i (anche se oggi tutti si fa a gara a chi è piu’ lontano dalle religioni ufficiali) ha costruito un proprio modello di scuola, pertanto non darei per scontata l’esportabilità di modelli scolastici che spesso si innestano e si scontrerebbero su substrati inconsci oltre che culturali.
Come già scritto in altri post, mi piacerebbe fare delle interviste a dirette e diretti interessati: insegnanti in primis, di ogni ordine e grado, avviando un piccolo dibattito.
Se tra i lettori del blog c’è qualcuno che ha letto il libro, chiedo in maniera fraterna di lasciare dei commenti, possibilmente privi di astio.. mi spiace fare questa premessa, ma ho visto che su altri social, l’argomento scuola suscita molto astio.. posso immaginare le motivazioni ma direi che è il caso qui di lasciarle un pelo da parte.
Aggiungo inoltre un link youtube (alla fine del post) relativo ad un pacato dibattito che ho trovato in rete, circa il libro stesso. Il dibattito rientra in una serie di incontri dell’associazione “Liberi oltre”, guidata o comunque “ispirata” a Michele Boldrin, professore universitario emigrato negli States, che si propose nel 2013 con il movimento “Fare per fermare il declino” (con risultati elettorali molto scarsi, di cui ho già parlato qui nel blog), promettendo un certo cambio culturale del sistema politico italiano (le premesse erano alquanto roboanti.. a sua parziale discolpa v’è da dire che non è stato l’unico, in questi 15 anni, ha promettere cambi di paradigma). Ora non voglio parlare di lui, ma invito, chi interessato ad approfondire questo tema, dando un’occhiata al podcast, che dura poco piu’ di un’ora.
Il dibattito linkato vede contrapposte (dopo la fotografia della scuola attuale fatta dai coniugi torinesi ed accettata da tutti, in seno alla discussione) due visioni di scuola per il futuro, tenendo in considerazione (alla fine ci arrivano) che la scuola oggi è una cosa ben diversa da quella degli anni del boom economico, ma che soprattutto, è una scuola molto piu’ di massa di quella del boom economico, un particolare che nel dibattito generale (non questo) spesso viene dimenticato, omesso oppure dato per scontato. Non voglio anticipare nulla… e premetto: a parte la Mastrocola e una delle ospiti (che insegna economia negli istituti tecnici), gli altri 3 partecipanti non insegnano nella scuola pubblica italiana, seppur hanno esperienze connesse alla stessa, a vario titolo.
Da esterno credo che le posizioni che si possano avere sulla scuola del futuro in Italia possano essere non due, ma molte di piu’. Se mi soffermo su questo dibattito, è solo perchè noto che la posizione/visione di Boldrin è molto simile a quella già adottata in paesi vicini a quelli dove vivo ora (Belgio, Olanda, Germania, Francia), rispetto a quella di Mastrocola/Ricolfi (non voglio anticipare altro, dato che magari c’è chi vorrà leggere il libro o vedere il dibattito). Anticipo solo, che il dibattito alla fine si tronca.. non solo per mancanza di tempo, ma perchè per questioni di bon ton, gli interlocutori tendono ad arrivare ad un punto abbastanza comune… non saprei se condiviso.
Bisogna guardi!
Su Boldrin c’ho una bella X della schedina: qualche volta lo sento dire bene, altre malissimo…
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Ciao Nick, tocchi il tasto Boldrin. La sua parabola umana e personale, rispettabile (non necessariamente condivisibile), tanto quanto la tua, la mia, quella di chicchesia , è quella di esser passato dal marxismo giovanilistico alla prima Lega Nord (quella di Pagliarini), poi a simpatie verso i governi di destra spagnoli. Diciamo che se mi fermassi a questa sua fotografia, la lontananza da me sarebbe molto piu’ che siderale. Proveniendo da una famiglia abbastanza eterogenea da punto di vista politico, sono stato abituato (da solo e per mia sopravvivenza) ad ascoltare tutti.. anche se poi termino spesso nell’intolleranza verbale io come Boldrin, solo che io poi ho dei sensi di colpa che non mi fanno dormire per notti. Cio’ detto, nelle sue esposizioni sui social, l’ho reputato molto aderente alle mie visioni ed idee (maturate all’estero ahimè), circa il declino dell’Italia (cho ho iniziato a vedere dal 2010, quando sono emigrato in Canada prima e negli USA poi). Un declino culturale, che ha come esplosione gli anni 80 (con Hammamet per prendere un esempio) e poi a seguire. In questa sua analisi mi ritrovo ed è il motivo che mi ha spinto ad ascoltarlo ancora. Il nostro ha deciso qualche anno fa di lanciarsi nei social, capendo che esponendosi in politica, come fece nel 2013 non puo’ spostare di mezza virgola l’andazzo generale di peronizzazione dell’Italia (peronizzazione dell’Italia è una espressione mia, spero lui non me la copi).. pertanto si vuole rivolgere ad un pubblico piu’ piccolo, che sia capace un giorno di farsi massa critica. Questo nelle intenzioni. Quello che io vedo. Intervista molti esperti, quasi tutti provenienti dal mondo accademico, sui settori piu’ disparati: storia, scienze, filosofia, economia (che poi è il suo vero settore). Spesso quando i suoi interlocutori non sono allineati alle sue posizioni, tende a: li bacchetto in malo modo (andando nel solito egopatismo degli italiani che si espongono in prima persona) o tende ad essere troppo edulcorato, quando o non ha voglia di litigare o vede che dall’altra parte, gli interlocutori sono di un certo prestigio e/o non vogliono sbottonarsi piu’ di tanto. E’ una voce fuori dal coro politico (non tanto quello accademico, ma che non palesa in pubblico), che di tanto in tanto, con dei filtri, ascolto. Sulla scuola ha una visione netta, anche un po’ troppo autobiografica: la scuola è troppo “gentiliana”. Qui ha lanciato un dibattito con due persone che hanno scritto un saggio, in linea di principio molto lontano dalla sua visione… ma alla fine non sono poi cosi lontani, sia per reale posizionamento, sia perchè lui non ha alla fine voglia di controbattere troppo con Ricolfi. Anche se sulla storia del Liceo Classico, alla fine a Ricolfi due gliene suona.
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L’ho visto una volta parlare con Canfora, e Canfora lo tallonava!
E il bisogno di ripensare la scuola si avverte da diverse parti… vedrò il video e ne parliamo meglio!
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Certo Nick, quando hai voglia sei sempre il benvenuto. E sai che ti leggo sempre con estremo interesse. Si, ricordo l’episodio con Canfora. Anche li, parti’ in 4, poi alla fine si accorse che Canfora non era poi tanto facile da saccagnare.
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Ho fatto il rappresentante di classe e d’istituto dalle elementari alle superiori.
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Bene, mi sembra una esperienza molto densa. In che anni hai frequentato la scuola secondaria? Che tipo di scuola? Cosa hai notato dal tuo osservatorio?
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Fino a qualche anno fa, quando figlia ha iniziato l’università.
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Pessimista/Allegro, scusa se ti chiamo cosi.. non saprei il tuo nome, mi vedo costretto ad usare il nick. Se ti va di raccontare la tua esperienza, ci possiamo sentire in maniera preliminare via email e poi programmare una intervista (per iscritto). Sono aperto ad una finestra di questo tipo. Buon pomeriggio.
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Non ho letto questo libro ma ne ho letto diversi della Mastrocola e li ho sempre trovati repellenti, sia i “saggi” (che non sono veri saggi, piuttosto divagazioni e considerazioni molto personali), sia i romanzi. Secondo me i due incorrono in un pesante equivoco, non so se ingenuamente o volutamente (direi la seconda): che la scuola prima degli anni ’60 del Novecento formasse e preparasse benissimo gli studenti, e che se ora non raggiunge più quei risultati la colpa è dell’essersi modernizzata e “democratizzata”. In realtà la scuola di un tempo era riservata alle élite, a ragazzi già scremati e con un buon retroterra economico e culturale: facile avere buoni risultati! La scuola in seguito ha dovuto diventare di massa e chiaramente questo ha abbassato il livello dei suoi fruitori, ma proprio allora, anche se con tanti errori, è riuscita ad essere un buon ascensore sociale. Le magagne della scuola di oggi non dipendono certo da Don Milani o da Gianni Rodari ma da una serie di riforme scriteriate a partire dagli inizi del nuovo secolo (Moratti, Gelmini, Renzi… non esattamente dei comunistacci) e dallo scarso investimento economico e ideale da parte dello Stato.
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Buonasera Marisa
Grazie per questo commento, mi permette di andare piu’ nel profondo nella “recensione al libro”. Come già scritto da Alessandro in questo blog (nei commenti) e come sto notando leggendo i commenti di voi insegnanti, bisogna cercare di capire un po’ tutti (non ovviamente voi che nella scuola ci avete insegnato e passato una fetta importante della vostra vita lavorativa), che la scuola di oggi non solo è incomparabile alla scuola degli anni ’60, ma anche a quella degli anni ’70.. non tanto perché è cambiata la società, ma perché è diventata una piena scuola di massa. Ho letto il libro. Il libro si divide in 2 parti. La prima a firma Mastrocola, in cui lei porta la sua esperienza di studentessa prima e di insegnante poi. Tutto verte sui ricordi personali e chiede alla fine al marito (Ricolfi) una conferma “scientifica” alla sua esperienza: “la scuola post ’68, diventando di massa, e diventando “facile” per includere tutti, ha creato un danno soprattutto ai figli delle classi meno privilegiate. I figli meritevoli dei meno fortunati, avendo solo la scuola come possibilità per emergere dopo, non venendo formati bene, non elergeranno. Per i figli delle famiglie bene poco importa, tanto nella vita un posto al sole lo troveranno sempre per via dei vantaggi di classe (non dimentichiamo che l’Italia continua ad essere ancora oggi un paese ferocemente classista, specie in alcune aree, specie quelle economicamente piu’ arretrate)”. Quello che non tollero in questo libro è il nostalgismo che viene sempre fuori, anche nella parte scritta dal marito, che arriva persino a raccontare un aneddoto personale, quando una zia insegnante, implora i genitori di Ricolfi, di far saltare la 5 elementare, andando direttamente al primo ginnasio, a suo fratello nato nel 1952, per “risparmargli” la scuola media unica. In questo vi è il classico classismo torinese che ho visto per 14 anni strisciante quando vivevo a Torino (e in maniera molto piu’ ipocrita che negli anni 60). La seconda cosa che trovo persino puerile è il solito refrain italiano, mai dimostrato scientificamente da nessuno al mondo, che se studi latino e letteratura, allora apri la mente… quindi chi fa il classico è pronto per continuare gli studi, gli altri farebbero bene a stare alla larga dalle università. Nel video che ho allegato, Boldrin spiega bene a Ricolfi, che oggi chi frequenta il classico è solitamente figlio della borghesia bene (che quindi ha solide basi famigliari scolastiche ed universitarie alle spalle, pertanto ha un’impostazione seria verso lo studio) oppure una ragazza ed un ragazzo molto bravo che viene indirizzato dalle medie a proseguire gli studi in questo tipo di istituzione (autoconfirmation bias). Chiaro che salvo episodi singoli, solitamente saranno coloro che avranno piu’ possibilità di successo all’Università.. non certo perchè hanno le menti aperte grazie al latino. Come se studiare in sequenza in un ITIS (bene, e non andare come di media si fa mediamente in un ITIS, scaldare la sedia 3 anni su 5) trigonometria, esponenziali, logaritmi, equazioni con numeri complessi, derivazione, integrazione, studio di funzioni, equazioni differenziali, serie di funzioni e trasformate di Laplace rendesse gli studenti invece inadatti allo studio ad avere un pensiero metodico e funzionale agli studi universitari. I due su questo cadono malamente e in maniera pacchiana in un errore grande quanto una casa, se non un palazzo. Quale la parte che secondo me invece va letta, e magari dando uno sguardo o al libro o alla intervista. Ricolfi dimostra (flebilmente, con numeri ISTAT, secondo me andrebbero fatti studi pu’ approfonditi e con piu’ dati) che oggi la scuola crea dispersione e abbandono sia nella scuola secondaria stessa, sia nell’università, che oggi deve essere paragonata (inevitabilmente direi, ho lavorato come ricercatore in una università italiana di quelle che si autoincensano a piu’ non posso, fino al 2010) alla scuola superiore degli anni ’60. Si perdono troppi ragazzi e troppe ragazze per strada, lui cita i numeri e quelli sono inappellabili. Questo è qualcosa di preoccupante. Dove sono le colpe? Secondo me sono un po’ nella scuola, un po’ nella società. E’ impensabile pensare che un liceo/tecnico in periferia possa sfornare lo stesso livello di preparazione di studenti del liceo/tecnico ubicato nel centro di una città come Torino ed avere le stesse percentuali di prosieguo è successo negli studi. Parliamo di 2 mondi diversi. Difatti mi sembra che il classismo si sia perpetuato, ma prendendo altre forme. Pero’ e’ qui chiedo a voi insegnanti, è molto probabile, che avendo punti di partenza diversi, tra i due licei, quello che fa di piu’ è il liceo di periferia, che deve non solo insegnare, ma anche svolgere altre funzioni che spettano ad altre istituzioni (questo nè Ricolfi, nè Mastrocola, nè Boldrin lo dicono). Certo poi ci saranno sicuramente colpe del sistema scuola in un qualche nodo/punto. Sulle Riforme. Ne parlo anche per esperienza diretta. I tizi che hai nominato non sono di sinistra.. Renzi e la sinistra sono una contraddizione in termini. Pero’ la prima vera Riforma post ’68 fu fatta da Berlinguer nel 1999 (e dal suo corrispettivo, se non ero Zecchino, al MURST), se non erro governo D’Alema (un bel ex comunistaccio). Ricordo (e lo ricordano malamente anche i due del libro, che spacciandosi per sinistrorsi, evidentemente non hanno voglia di perdere una certa patente “progressista”) che quella riforma porto’ l’autonomia universitaria (per cui le università si moltiplicarono come funghi sul territorio, praticamente equiparandosi a dei licei piu’ “agés”) e inserendo lo sciagurato 3+2 (che ha creato piu’ dispersione e mantenuto se non allungato i tempi per laurearsi magistralmente, cioè raggiungere lo stesso risultato che prima si conseguiva con la sola laurea quinquennale). La storia è veramente complessa.. ed io ho scritto un “pippone” interminabile. Sto chiedendo ad insegnanti ed ex insegnanti, se hanno voglia di partecipare qui sul mio blog a delle interviste singole, per poter portare esperienze, aprire un dibattito, lanciare idee. Lancio questa proposta anche a te e sarei veramente felice se accettassi. Senza alcun impegno ça va sans dire. Un caro saluto. Fritz.
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Molto interessante quello che dici, e hai ragione, non ho citato Berlinguer che per l’università è stato davvero deleterio (il 3+2 è un assurdo). Il discorso sarebbe lungo… accetto volentieri la tua proposta, anche se sono già 5 anni che manco dalla scuola, quindi so poco degli ultimi sviluppi. A presto!
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Ciao Marisa, nessun problema su Berlinguer, figurati. Lo tiravo in ballo perché le sue decisioni hanno inciso direttamente anche sulla mia pelle (gli altri li ho scansati per motivi di età). Sto preparando una serie di domande per l’intervista che conto di inviarti entro domenica prossima. Un caro saluto. Fritz
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