Scrivere un post critico nei confronti di Carlo Calenda è un’operazione tanto pleonastica quanto mansueta. Pleonastica, in quanto Crozza, seppur con un altro mezzo, l’ha già fatto in maniera egregia ed irraggiungibile (qui), enumerando le virtù (poche) e i difetti (pochi anch’essi, ahilui) del Carlo (mi gioco un paio di pajate che uno dei sui desideri più inconsci e reconditi sia il venir appellato con l’articolo o la preposizione articolata davanti al nome, lui che da romano pariolino, anela Milano e Torino, come i Dik Dik anelavano la California o più mestamente l’Isola di Wight) e mansueta, perchè alla fine come dicono a Napoli, è un bravo guaglione con un piccolo problema: ha un ego che fa provincia… quella di Isernia.
Il Carlo ha raggiunto notorietà nazional-popolare, perchè un giorno, da manager, di punto in bianco ha iniziato a sentirsi permeato da passione politica (cosa di per sé rimarchevole, in un paese in cui i professionisti si fanno tutti beatamente i fatti propri, finchè l’acqua non ha toccato le proprie caviglie, e che quando decidono di entrare nell’agone politico non vogliono di certo sottoporsi a quella specie di ratifica che sono oramai le elezioni) e come Manzoni dopo la conversione al Cattolicesimo, ha assunto questa propensione profetica e leggermente invasata che in mano ad altri sembrerebbe subito spocchia, ma in lui no. Il suo viso e i suoi occhi parlano più delle parole. Il Carlo è un “tranquillo” nello spirito. Lo vedi che si sente di avere il carisma di un Fra Cristoforo, ma alla fine, anche senza tanto grattare, ha l’indole di un Don Abbondio.
Nella sua ieratica propensione alla conversione altrui, sulla base di un verbo a lui disvelatosi, scendendo a patti con i vili mezzi della modernità, nella sovraesposizione da social media dei tempi attuali, frequentando per necessità quella palestra di imbecillità che si chiama twitter, anche per colpe non sue ma del mezzo, finisce spesso per scrivere pensieri contorti (il che avendo a disposizione 140 caratteri è persino un grande merito), in cui si incarta da solo. Ma non è da un twitt che si giudica un politico. De Gregori ci insegno’ questo assioma ma su un altro terreno.
Ed è cosi’, che sulle orme mazziniane di Ippolito Nievo, dopo aver dato alle stampe ben tre saggi sui destini della patria (qui), il nostro, come un uomo qualunque è caduto sull’ennesima buccia di banana venendo massacrato soprattutto a destra per la sua visione della scuola. Mi tocca riassumere, poichè non posso far durare il post quanto un libro di Faletti:
“Il nostro prospetta un liceo per tutti, non solo per i figli dei privilegiati, magari per un paio di anni, perchè con il liceo, a suo avviso, si metterebbero le basi per la formazione civile di uno studente e della popolazione tutta”.. poi di li’ chi vivrà vedrà, si potrà anche andare in un istituto tecnico.
Ora, al di là della, spero gogliardica, fotografia di Calenda, io onestamento non credo sia cosi’ ingenuo da credere a queste boiate. Ho tutto il dubbio che sia una boutade elettorale volutamente mirata ad acchiappiare voti nel suo elettorato di riferimento: i pariolini di tutta Italia. Quelli (non tutti ovviamente) che credono che se non sei andato al liceo sei un paria della società, e che se hai fatto il classico sei prossimo al vaticinio o quanto meno al soglio di un qualche cardinaliziato. Credo sinceramente sia una sparata per ammiccare a coloro (tanti) che ancora credono che il latino apra la mente (la matematica invece è stato ampiamente dimostrato dalla psicologia cognitiva che porta l’essere umano a diventare un anonimo ed acritico ingranaggio del sistema liberal turbocapitalista sradicante ed alienante ), che il greco rappresenti le fondamenta per diventare poi degli ottimi medici e che guardano con un certo rigurgito di fastidio chi decide di studiare sin dalle superiori chimica, elettrotecnica o informatica tra i paria, automarticamente escludendosi dalla creme della creme. Sono ampiamente convinto, fino a smentita del titolare, che il suo era uno slogan rivolto a molti di coloro che seguono le pagine tipo “Adotta un analfabeto funzionale” o “Abolizione del suffragio universale”, i quali ogni mattina, per sentirsi più intelligenti e socialmente superiori alla media, devono avere una dimostrazione dell’ignoranza altrui, e ricorrendo alle proprie granitiche certezze, ringraziare il cielo di aver fatto il liceo, non mescolandosi con la marmaglia…. gli intimamente fascisti poichè classisti e lo sono a livello inconscio, perchè a livello conscio, credono che essere a favore di qualche diritto civile faccia di loro dei progressisti. Calenda, appunto come Fra Cristoforo, con la sua retorica gonfia e tronfia, si rivolge a tutti costoro, i quali pensano che l’Italia andrebbe meglio se tutti fossero come lei, o come lui. Se tutti quanti avessero avuto i genitori mediamente senza problemi economici, incanalati verso determinate scuole dove non ci si mischia con i servi della gleba. Un paradiso di eguaglianza quasi ai limiti del marxismo teorico ma verso l’alto, verso le vette dell’empireo. Pertanto la soluzione è quella: dare a tutti l’idea che anche tu povero figlio o povera figlia della periferia, del piccolo mondo antico della provincia, del meridione più profondo, della valle alpina più dimenticata, possa sentirti per un anno o due parte della elitè, annusare l’aria che loro respireranno tutta la vita. Diventare grazie all’aver frequentato un liceo uguale per tutti per due anni, sufficientemente colto e un giorno anche tu, essere colui che guarda le pagine in cui si spera di abolire il suffragio universale sentendosi “er piu”.
Ora fare del sarcasmo su Calenda come detto, è alquanto facile quanto vacuo, non serve la dialettica di Schopenauer basta un Salvini qualunque, e quindi lasciamo ai due vate linciarsi amorevolmente sui social. Fare un po’ di sarcasmo su certi italiani è altrettanto semplice e gratutito (salvo circondarsi di qualche rancore) come parlare di scuola a vanvera (cosa che si fa almeno 40 anni). E su questo punto vorrei fermarmi e chiedere l’attenzione ai miei lettori, lanciando qualche domanda.
- Non è che in Italia parlare di scuola ed eventualmente poi andando al governo, riformarla (alla peggio) è una pratica abbastanza comune da parte di alcuni politici, perchè è una cosa che è gratis nel primo caso (non intacca il potenziale bacino di voti) e poi abbastanza economico dal punto di vista dei bilanci malandati dello stato? Oggettivamente mi sembra che due dei parametri economici più preoccupanti di questo paese siano: la produttività economica ferma al palo e la sua parabola demografica. Tralasciando la seconda (aprirebbe un post a sè), perchè in campagna elettorale, da che ne ho memoria non si parla mai della prima [1]? Ed onestamente mi sembra che i due parametri economici (preoccupanti) c’entrino con la scuola una beneamata. Mettere mani alla produttività del paese tocca interessi troppo forti e strutture mentali incancrenite (oltre che costare un botto).
- La boutade di Calenda ha in sè qualcosa di nuovo per chi parla di scuola (tantissimi) da almeno trenta anni. Se per decenni lo slogan è stato: “Una scuola vicina al mercato del lavoro”, specie dopo il ciclo di scuola primaria e scuola secondaria di 1° grado e la sua aziendalizzazione, la sua esternazione ricorda per vaghissimi capi un po’ la visione dei governi di centrosinistra dei primi anni 60, la quale porto’ alla istituzione della scuola media unica per tutti. En passant, se non fosse per il soggetto che propone questi fantomatici anni di “più liceo per tutti” (e per il suo il bacino elettorale di riferimento) la proposta, seppur scombinata, anche per via del social usato per diffonderlo, sembrerebbe persino di sinistra (non a caso è avversata in maniera furente da destra). Ma mi chiedo… ma non è che uniformare i percorsi di studi, specie dopo una certa età, invece che aiutare i ragazzi e le ragazze, possa crear loro più che altro problemi? Crediamo davvero che per migliorare gli scarsi indici INVALSI della popolazione scolastica italiana, sia sufficiente “liceizzare” tutti gli studenti, credendo che siano tutti uguali, abbiano tutti eguali predisposizioni (specie dopo i 14 anni), e che dobbiamo sinistramente o fascisticamente plasmarli/forgiarli? Davvero qualcuno crede che se a tutti proferissimo indistintamente, specie dopo quella età, le stesse nozioni di filosofia, diritto, educazione civica (forse il sempiterno italicum latino), diventerebbero dei cittadini più consapevoli e mediamente istruiti? Lo dico veramente con tutto il rispetto per chi pensa queste cose. E chiedo di motivare la risposta. Perchè una differenziazione del corso degli studi, più che una sua uniformizzazione dovrebbe portare a sfaceli negli indici INVALSI o viceversa una sua uniformizzazione dovrebbe migliorarli? Veramente credete alla stronzata che il latino apra la mente e che so’ imparare la trigonometria, lo studio delle funzioni, o come funziona una reazione chimica, la programmazione C++, lo studio della statistica no? Veramente credete che studiare per 3 volte la storia delle popolazioni preromane ma anche quelle romane, sia più formativo di sapere che cosa avvenne nel 1978 a Camp David o i rapporti tra Nixon e Deng Xiao Ping agli inizi degli anni 70 per capire il mondo come gira oggi? Veramente, lo chiedo con tutto il più grande stupore.
- Gli indici INVALSI, come tutte le statistiche, risentono a mio avviso della battuta di Trilussa sui polli. Se uno ne ha mangiato due ed uno zero, per la statistica abbiamo mangiato un pollo a testa, ma in pratica uno è rimasto a digiuno. Mi spiego peggio. Letti da uno che non mette piede nella scuola/università italiana dal 2010, mi sembra che gli indici INVALSI, siano a occhio, lo dico en passant, più affetti dalla geografia del paese, che dalla scuola. Mi sembra che ci sia un chiaro ed incontrovertibile dato sociale, economico e famigliare: periferie/centri (nell’accezione ampia di papa Francesco, una delle sue piu’ lucide intuizioni, data anche la sua biografia). Se ci si ferma ai numeri nudi e crudi, si finisce per cadere nei bias dello scoordinato, sgarrupato e classista pamphelt (?!) di Mastrocola e Ricolfi: la scuola di massa ha abbassato le performance della scuola rispetto alle scuole di elitè pre-roforma ’62 (ed io ci aggiungere il celeberrimo e graziearkaiser), pertanto l’unica scuola che ancora funziona è il liceo classico, come se questa scuola avesse proprietà taumaturgiche e magiche (questa la tesi dei due torinesi, già riproposta in questo blog con tanto di video a documentare) dimenticandosi il self-selection bias di cui i due, leggendo le pagine, sono sempre stati affetti.. ma il problema è proprio li’. Il liceo classico e i licei ben ubicati a livello di toponomastica, raccolgono i figli della borghesia bene a cui Calenda si rivolge. Ed oggettivamente, che questi licei “performino” bene sul piano dei test INVALSI, mi suona strano, come trovare il mare a Taranto. Io invece voglio lanciare una provocazione. Non è che sono proprio quelle scuole “nelle periferie” delle grandi città del Nord, come delle scuole ubicate nei remoti e dispersi luoghi del Sud, dove la mancanza dell’economia, delle famiglie e spesso dello stato, sono quelle a performare meglio, dato che assurgono anche ad altri ruoli oltre che ficcare nella testa dei propri studenti quattro nozioni di matematica o lettere o storia o filosofia? Non è che sono quelle scuole, l’ultimo baluardo di resistenza allo sfascio delle famiglie per condizioni economiche e non solo, a zone del paese in cui per mancanze di strutture (biblioteche pubbliche, lentezza della rete, mancanza di opportunità di lavoro, scarsità di iniziative culturali, cinema, teatri, opportunità ludiche, palestre etc..) gli insegnanti devono non solo fare il lavoro per cui vengono pagati ma anche: il surrogato spesso dei genitori, gli psicologi, gli educatori sportivi e gli integratori sociali (dato che nelle periferie si scarica in percentuale maggiore anche il peso della immigrazione), gli animatori culturali? Pertanto parlare di scuola, è anche qui, un non voler parlare di come mettere mani alle “periferie”. Non e’ che forse sono le periferie da migliorare e non le scuole?
- Il post è diventato troppo lungo. Lascio ai lettori proseguire, invitando a non fermarsi sull’aspetto “elezioni politiche” e personalismi sui protagonisti della stessa (di cui mi importa un fico secco).
[1] Ad onor del vero e giusto perchè mi piace non solo prendere in giro, alla Scanzi, i personaggi pubblici (che fa sempre iperboli tra gli ipereroi del passato e le miserie quotidiane del malcapitato di turno, un metodo tanto retorico quanto vigliacco di criticare i suoi interlocutori). Calenda, quando è stato Ministro dello Sviluppo Economico, è stato uno dei pochi politici italiani, che con il piano Industria 4.0 aveva seriemante preso in considerazione il parametro di produttività economica dell’Italia.
“…non è che uniformare i percorsi di studi, specie dopo una certa età, invece che aiutare i ragazzi e le ragazze, possa crear loro più che altro problemi?”.
Temo di si. Ma forse è questo il progetto unico finale della nostra classe politica, portare ancora di più allo sfacelo la scuola. Continuare a svuotarla di importanza ed utilità facendoci credere che è per il nostro bene. Pardon, per il bene dei nostri ragazzi, io dalla scuola sono uscita già da parecchi anni. Giusto da un classico mi pare. Ai tempi vigeva anche dalle mie parti il concetto che fosse la scuola che ti avrebbe dato accesso al paradiso. Tornassi indietro farei una scuola che mi formi per il lavoro, perché il latino, il greco, la filosofia sono bellissime materie (per le versioni non ho pietà invece), ma a conti i fatti oggi, senza una laurea, non ho in mano ‘nulla’. Non sono né carne e né pesce, come si suol dire. E vabbè. Col senno di poi siamo tutti bravi, ma i politici hanno il compito di essere anche lungimiranti. Il problema è chissà come ci vogliono nel futuro.
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La scuola oscilla tra le due visioni: aziendalista Vs formativa del cittadino. Ripeto si dimenticano i contesti dove la scuola oggi è calata
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Si, hai ragione. Non ci avevo mai pensato, il tuo post è un ottimo spunto di riflessione.
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Scusa Bisbetika (ti chiamo cosi’ perchè non conosco il tuo nome). Il tuo commento meritava una risposta approfondita, oro posso darla perchè sono al PC e a casa. Capisco la tua esperienza scolastica personale. I licei, specie il classico, in Italia hanno fatto il loro tempo. Resistono, alcuni meglio di altri, perchè sono un modo di autoselezione per classi sociali, in un paese ferocemente classista come l’Italia, tra i 10 paesi più ricchi al mondo, quello che presenta i maggiori divari sociali e l’ascensore sociale più bloccato. Cio’ detto, uscendo dalla tua esperienza personale che non ho difficoltà ad immaginare dura e difficile, dato il vincolo di partenza che la scelta di un liceo (specie classico) presuppone, nel mio blog ho sostenuto la riforma del modello scolastico italiano su una versione più europea (del centro Nord). Si finisce la primaria dopo 6 anni, si confluisce tutti in una secondaria, dove ogni 2 anni, si personalizza sempre più il proprio curriculum scolare. Questo evita la “separazione” per classi sociali come avviene in Italia, permette di settare il cambio scuola ad un livello più prossimo al cambio psichico e fisico dei ragazzi e delle ragazze a quella età: 12 anni invece che il doppio cambio 11 e 14 (specie se donne.. questo un dato che in un paese maschilista oltre che classista come l’Italia si dimentica) e permette di dare una aderenza migliore tra inclinazioni e predisposizioni degli alunni e delle alunne ed inclusione sociale. Non è un modello perfetto, ma visto sulla pelle dei miei figli qui in Belgio, sulla pelle di molti genitori e figli che qui conosco, e dopo aver visto anche sul lavoro e nella società gli ottimi risultati in senso civico, mi sento di consigliarlo. Grazie per il tuo commento e scusa per il commento lapidario di prima. Spero ritornerai a commentare e a leggere. Una buona domenica. Fritz.
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Un blog come il tuo che tratta argomenti così interessanti non potrei non seguirlo, è un arricchimento per me. Peraltro ammiro la tua capacità di esprimere concetti complessi in maniera approfondita e ricca. Commentare un tuo post per me è un azzardo e solitamente non lo faccio, anche se spesso condivido il tuo pensiero. Ritengo più proficuo per me leggere e riflettere restando dietro le quinte poiché, ahimè, non posso permettermi il background culturale e di esperienze di vita che hai tu. Comunque il confronto di idee resta per me quanto di più stimolante possa esserci su questo tipo di piattaforme e, tornando nel merito della tua ultima risposta, ho trovato molto utile conoscere il modello scolastico del Belgio, che ignoravo completamente. A presto.
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Cara Bisbetika, i tuoi complimenti mi fanno enormemente piacere e quindi un grazie di cuore per le tue parole. Ammetto che molto spesso, più che nei post, nei commenti divento agressivo, e forse spavento gli utenti nello rispondere. Spero non sia il tuo caso. Sto cercando di essere meno netto e tagliente, ritornare un po’ come nei primi tempi, quando ero più “smussato”. Forse è l’età e anche l’anzianità di blog (oltre che anagrafica) che mi rende più duro e meno morbido. Ti auguro una buona notte. Fritz
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Secondo me c’è un altro bias, ovvero che la scuola debba essere tout court un’anteprima degli uffici, degli alberghi o delle fabbriche.
Come non ci sono i Cristoforo Colombo a 18 anni penso neppure i Lavoisier o i Ferrari.
Se il concetto di merito è legato al tipo di percorso su carta o, peggio, ad una reputazione da materie più o meno con cognizione di causa produrremo solo pregiudizi e spaccature sociali per altri decenni, se non si sfascia tutto prima.
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Questo è il bias che è stato alimentato dal 1992 al 2020. Ora sembra che si ritorni a quello che tutti debbano avere una egual formazione, specie se umanistica, specie dopo I 14 anni, altrimenti si diventa automaticamente dei complottari perché incapaci di saper leggere il mondo.
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Solo ipotesi, peraltro si parla di “un assaggio”. Piuttosto, per come tira l’aria, chi garantisce che non sia proprio il classico a sparire inglobato in questi bienni?
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Caro Nerodavideazzurro, scusa per il commento lapidario di prima, ma ero fuori casa e con il cell. Ti rispondo ora con calma e con il PC. Invito, per evitare di scriverlo due volte, la lettura della mia risposta lunga a bisbetika, dato che in parte era la risposta che volevo dare anche a te, su un mio invito a pensare un modello nuovo di scuola in Italia. Sul liceo, specie sul classico. Che i suoi numeri siano in costante decrescita come nucleo di iscritti, mi sembra una cosa fisiologica. I licei, non tutti, ma alcuni, specie il classico e i licei scientifici o di altro genere ben ubicato per toponomastica, sono da che esistono, i luoghi dove la classe dominante italiana si autoseleziona per cooptazione. Immagino che proverai a dissentire con tutte le tue forze da questo assunto, ma ti anticipo che potrei scrivere poi commenti lunghi quanto la recherche di Proust per dimostrarti il contrario. Ma andiamo al classico. Che il classico oramai abbia fatto il suo tempo come istituzione, credo l’abbiano capito anche le classi che si vogliono autoselezionare, dato che la maggior parte dei bias su cui si sono fondate le sue fortune negli anni del fascismo e del secondo dopoguerra, si sono sgretolati da soli, anche per una società ed una economia mondiale che è cambiata e che richiede formazioni già in età adolescenziale, un pochino diverse da quelle che si fornivano ai futuri quadri e dirigenti degli anni 30, 40, 50, 60. Che poi venga sacrificato, sulla base di questa ipotesi, francamente credo mi toglierà il sonno per 3/4 d’ora. Andiamo al tuo primo commento. Credo che il pompare sulla formazione tecnico-scientifica, sia una cosa che è stata pompata molto dal primo governo Prodi. Prodi scrisse poco prima della sua elezione, una sorta di bibbia laica per la patria (in stile Calenda) nel 1995, su edizioni Sole24H, in cui si augurava iscrizioni in massa alle lauree STEM, per dare linfa nuova all’economia italiana. Una campagna pubblicitaria che continua ininterrotta da 30 anni, sempre da parte dello stesso giornale, e molto in gamba tesa. Era allora un’emerita cazzata, lo è ancora di più oggi, dove un’economia industriale che non si è saputa rinnovare, rimasta atomostica a livello di aziende, isolata in posti sperduti e senza grandi infrastrutture al Sud, gira come fornitore principale dell’industria tedesca, non ha bisogno di milionate di questi laureati (ovviamente non necessita neanche di laureati in giurisprudenza). Credere che avere un milioni di ingegneri in più (o di fisici o di chimici o di altri tecnici) potesse cambiare le sorti di un paese, era come credere alla befana. Infatti morale della favola, negli ultimi 15 anni, abbiamo fatto salire il numero di iscritti AIRE a 6 milioni. Si conta che solo negli ultimi 10 anni siano stati un delta di 2,5 milioni, l’80% dei quali con lauree, quasi tutti nel settore STEM. Sulle scuole superiori, specie al Nord, dove il tessuto industriale era prossimo alla scuola, effettivamente negli ultimi 20 anni, si è avvallato il modello scuola-lavoro. Un modello miseramente fallito, sia perchè anche il Nord Italia non è omogeneo (l’attuale Torino e metà Piemonte non credo sia molto diverso dalle zone più sviluppate della Puglia) sia perchè le aziende non sono adatte ad inserire nelle proprie strutture, dei ragazzini, i quali alla fine, vanno li a riempire per lo più tabelle excel. Non credo che ci fosse gente che sperasse di trovare Lavoisier, e la tua battuta mi sembra un po’ in stile Galimberti, quando si lamenta che la gioventu’ attuale è oramai persa, facendo il confronto con Leopardi (WTF) nell’800 (?!) che nei suoi 20 anni scrisse le poesia più intense ed i giovani di oggi perdono tempo sui social. Credo come scritto a Bisbetika, che parlare di scuola sia gratis, non comporti per le casse dello stato (qualora si facesseo riforme) grandi spese, non importa granchè a nessuno (i figli dell’Italia bene si sistemeranno al di là dei modelli e delle impostaziono) e agli altri, quelli che oggi da una scuola più vicina al mondo attuale, ne trarrebbero vantaggi, sembra non importare nulla. Finchè la barca va..
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Il CCAC è stato avvisato della sua infida avversione per Calenda. Blog avvisato mezzo….
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Non so chi sia il CCAC
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Comitato Controllo Anti Calenda
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Caro Zipgong, non credo di essere stato infido contro di lui. Ho usato qualche iperbole retorica, ma ho scritto che è alla fine un buono, un tranquillo e alla fine anche un encomio, perchè l’unica proposta in 30 anni di politica vuota e cazzara, per mettere mano alla produttivià italiana l’ha fatta lui. Cio’ detto, non credo che la sua proposta sulla scuola sia seria, e credo che lui sia il primo a non credere a quello che ha detto. Sono convinto l’abbia detta per fare contenti il suo bacino elettorale di riferimento. E detto questo, credo che la sua parabola politica sarà fallimentare.
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concordo
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vorrei aggiungere che l’ascensore sociale non funziona più perché quei subdoli vecchietti pensionati del sesto piano lo lasciano sempre con la porta aperta.
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Stupenda battuta e metafora. Chapeau 🙂
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Comprendo meglio il tuo punto di vista meglio articolato adesso; fatto sta che il problema, ad horas, è anche valorizzare chi oggi ha diploma classico e laurea umanistica: questo intendevo con la mia metafora, altro che battuta.
Ti assicuro che col solo classico è difficile persino partecipare ad alcuni concorsi pubblici, quasi che si fosse minus habens.
Inoltre, piccola info: spesso al classico si andava anche sol perché attratti da materie di proprio gusto, fosse mai un peccato originario da scontare per la vita? Mi pare che neppure tu la pensi così pur partendo da un altro punto di vista. Ad ogni modo credo che pur eliminando il classico chi ama le lettere, pur in soffitta o cantina, le coltiverà; peccato solo non poterne più ricavare di che vivere se non scrivendo o simili. Bisognerebbe più che altro integrarlo con ciò che oggi è diventato indispensabile, senza tralasciare ciò che indispensabile è da sempre.
Alla prossima.
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Carissimo Davide, capisco quello che tu mi vuoi scrivere in termini di autobiografia (avevo intuito che eri un ex studente del liceo classico) e sono contento che tu mi abbia meglio compreso. Se vi fosse ancor bisogno, premetto che non credo a nessun assioma del tipo: una formazione è preferibile ad un’altra per fare in modo che un essere umano sia un cittadino migliore o una persona che sviluppa più capacità cognitive. Se avevo calcato sul liceo classico e sui licei in generale, l’ho fatto perchè in Italia, sul bias del liceo classico come scuola universale e di esiziale importanza, si sono costruite dagli anni 30, almeno fino agli anni 80 intere cattedrali di stupidaggini (ultimo il penosissimo saggio, per modo di dire, della Mastrocola e di Ricolfi). Credo che esistano gli individui prima di tutti, ognuno con le proprie inclinazioni e i propri talenti. Per essere un cittadino e vivere la propria cittadinanza con dignità e cognizione di causa, la prima cosa è essere appagati nello studio, soprattutto dopo i 13 anni, quando il nucleo della persona comincia a venir fuori. Obbligare (come oggi già è) tutti ad una scuola unica, coma la ex scuola media (i cui intenti nel 62 erano lodevoli, ma oggi sono anacronistici) fino ai 18 anni è una follia. Su che basi poi? Calenda nel suo essere approssimativo diceva il modello liceo, cadendo ancora una volta nel bias su cui le generazioni delle èlite di italiani si sono formate, credendo come al solito, che la propria autobiografia, coltivata su bias mai dimostrati scientificamente sia l’unica soluzione possibile. Personalmente credo che dai 12 ai 18 anni, ci sia spazio per una scuola che insegni le lettere, cosi’ come strumenti indispensabili alla vita di oggi, che è molto più complessa, interconnessa con il resto del mondo, e viaggiante su velocità che non erano pensabili negli anni 30 o anche solo 70 o 80. Oggi non avere a 18 anni conoscenze minime di statistica, cosi come di fisica, come di economia, come di inglese o informatica vuol dire essere tagliati fuori ed essere un potenziale lettore semplificato del mondo.. ed è purtroppo una cosa che si vede lampante già in Italia, più che in altri paesi europei occidentali. Le lettere fanno certo parte del bagaglio minimo di formazione umana. E devono restare, ma abbinate a molto altro. Questo per evitare di terminare nella condizione che dici tu: essere scartati dai concorsi pubblici a prescindere. Purtroppo in un mondo dove sono richieste sempre più specializzazioni, dato che la conoscenza tecnica si è evoluta a dismisura negli ultimi 50 anni, in maniera iperbolica rispetto a secoli e secoli prima, questo è inevitabile. E’ il nuovo mondo nato dalla rivoluzione tecnologica meccanico-chimica del secondo dopoguerra ed elettronico-informatica degli anni ’90. Pertanto è altrettanto stupido pensare ad una scuola che si adagia come un tappeto sul tessuto economico circostante (tua critica che accetto in toto). 1) perchè il tessuto economico cambia rapidamente, magari non in Italia (come detto nel precedente commento, ad una velocità per cui un piano industriale oggi si fa se va bene a 5 anni, quando negli anni 60 si faceva a 20 o 30) 2) perchè l’Italia non è omogenea a livello economico e di tessuto industriale. Per l’istruzione universitaria, come hai visto sono per la libertà di scelta sulla base della propria coscienza e non sulla base della coscienza di qualche giornale. Ben tenendo presente che il tessuto economico italiano non puo’ assumere milionate di laureati STEM (dato che ogni anno emigrano circa 150mila laureati in queste discipline) nè vi è tanto bisogno di laureati in giurisprudenza. Cio’ non toglie che ognuno si iscrive dove più gli aggrada essendo informati un minimo sul quadro economico nel quale vorrà sfruttare la sua laurea. Sul valorizzare il diploma del classico. Credo sia una bella sfida. Certo se i concorsi pubblici hanno quei limiti sei bloccato. Cio’ non toglie che la formazione avviene oggi più che 30 anni fa, anche fuori dalla scuola. Ci sono corsi professionalizzanti fuori scuola, che ti permettono di specializzarti in un settore e poi esercitare degnamente in quel settore. La scuola, in questo caso il liceo, ti avrà fornito sicuramente la mentalità e la flessibilità mentale per affrontare studi e situazioni nuove. Per chi ama le lettere, c’è sempre tutta la vita d’avanti. Io ho contato qualche mese fa, per motivi di trasloco, i libri letti dal 2002 (anno della mia laurea) al 2021 (20 anni). Sono circa 980, arrivano a 1120 se considero anche ai libri letti durante le superiori e che sono ancora a casa dei miei genitori. Dei 980 citati, 900 sono di letteratura dei posti più disparati del mondo e delle epoche più varie. Nonostante la mia istruzione tecnica e il mio lavoro ipertecnico, è una passione che coltivo da sempre e che mi accompagnerà finchè avro’ vista o almeno la vita. Un saluto cordiale e grazie per i tuoi interventi.
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Io, guarda, ho fatto il classico in maniera molto felice, contentissimo di aver studiato il greco (strumento molto utile per “indagare”, avendo, qualsiasi parola greca un “doppio senso” sempre da valutare), la storia e la filologia (utili per avere le strumenti per discernere tra tante “fonti”), e sono così “onnivoro” da rimpiangere di non aver studiato meccanica quantistica (per esempio), psicologia seriamente o farmacologia, o altra roba come l’agronomia ecc. ecc. e soprattutto economia e robe tributarie o di basilarità giurisprudenziali (e non avere “basi economiche” e giurisprudenziali mi ha molto penalizzato nel leggere la realtà)… per curiosità mia ho anche studiato musica e cinema!
e tutta la mia curiosità mi ha molto presto fatto rendere conto che non si può né studiare né sapere tutto, che quindi non si può stare a scuola 24/7 per imparare *ogni cosa*, e perciò lo studio “informal” e “non formal”, paralleli allo studio “formal”, diventano assai dirimenti…
sicché buttare tutto sul finanziare solo un tipo di scuola è una grande menata…
e poi scegliere quale unico tipo di scuola finanziare solo per “ragioni personali”, è da analfabeti funzionali (è come Berlusconi che diceva «ci vuole il maestro unico alle elementari perché ai tempi miei c’era il maestro unico e io mi ci sono trovato bene», e quindi ci si devono trovar bene tutti quanti! o come i terrapiattisti che dicono: «la prova che la terra è piatta sono io stesso che vedo l’Elba da Granarolo»; o come quelli che dicono: «ai miei tempi si stava meglio»: scemenze)
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Ma capisco Calenda e il suo snobismo, perché, di fondo, in quanto “classichino”, ce l’ho anche io: anche io ho spesso pensato, di chi mi diceva che il Gattopardo era l’autore di una saga di romanzi intitolata «I Tomasi di Lampedusa», «ma questo è un deficiente che è deficiente perché non ha fatto il classico e non ha studiato greco antico!»…
ma anche io ho subito la stessa sorte per esempio in banca quando mi guardano dicendo, con gli occhi: «ma guarda ‘sto deficiente di classichino che è deficiente perché non ha fatto ragioneria»…
e lo subisco anche in piscina quando vedo negli istruttori, quando faccio una mossa sbagliata e pericolosa [per me], l’espressione: «ma guarda ‘sto deficiente che è deficiente perché non ha fatto l’ISEF»…
e lo subisco quando i miei amici ingegneri mi dicono «vabbé, ma se fai un errore tu a catalogare Carlo Lucarelli non succede nulla mentre se noi ingegneri si sbaglia a fare un ponte muore la gente»…
e la subisco quando mia sorella infermiera mi dice: «attraversa tu la città per fare quel favore a mamma, poiché, anche se sei al lavoro, il tuo non è un vero lavoro, poiché tu mica salvi le vite come faccio io!»…
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per cui, dé: Calenda faceva bene a stare zitto perché tutti quanti fanno scuole complicate e difficilissime, se fatte con vero impegno, e tutto quanto contribuisce al sapere e al benessere del mondo…
servirebbe collaborazione tra tutti invece che ghettizzazione reciproca… uffa!
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Nick, grazie per il tuo intervento. Mi piace perchè parte dalla propria esperienza personale ma va oltre. Il problema dell’intervento di Calenda è proprio quello: è molto autobiografico, e le élite italiane sono autobiografiche ed autoreferenziali, come il resto degli italiani (come citi giustamente tu)..ognuno usa la propria autobiografia come metro di lettura del mondo. Il mio post è davvero molto ampio e me ne scuso. Volevo toccare molti punti. I politicanti parlano di scuola, perchè riformare la scuola ha costi molto più limitati che per esempio mettere mano alla produttività italiana e alle periferie. E in tuttà franchezza mi sembrano due punti più importanti da affrontare oggi, per non dire ieri, rispetto alla scuola (che viene riformata oramai ad ogni legislatura). Una economia ferma al palo da 20 anni (possiamo essere spirituali ed umanisti quanto vogliamo, ma un paese che non produce, non genera ricchezza e potrà distribuire solamente povertà) e problemi di disagio sociale nelle periferie sempre più grandi; per cui possiamo inventarci la scuola sulla carta migliore, poi la devi calare nelle sempre più grandi periferie metropolitane, nelle valli sperdute dell’Appennino e delle Alpi, nei paesini dispersi di qualsiasi posto disperso d’Italia, dove la scuola è già oggi l’ultimo baluardo prima di tante cose brutte. Per cui direi che se la scuola deve formare i cittadini, è anche vero che forse sarebbe il caso di mettere mano alle città (perdonami la battuta). Il mio era un intervento, e si vede anche nei commenti, a voler sottolineare che non esiste una istruzione unica, buona per tutti, solo grazie a quelle si puo’ diventare cittadini diligenti.. e gli altri sono analfabeti funzionali. I casi che tu citi di professionisti che ti rinfacciano la tua incapacità di fare l’infermiere o il nuotatore o il ragioniere, immagino siano molto pesanti da digerire (capita anche a me di incontrarne negli stessi o in altri settori), e per un momento mi piacerebbe immaginare che la loro pesantezza, sia uguale a quella di coloro che si sentono degli dèi scesi in terra perchè hanno fatto il Manzoni, il Beccaria, il Parini, il D’Azeglio, il Cavour, l’Alfieri etc. Lo dico da ex studente del Politecnico di Torino, dove mediamente il professore e lo studente o la studentessa media dell’università, anche se proveniente da un misero ITIS di provincia, dopo aver passato Analisi I e Analisi II, Fisica I o Fisica II si sentiva posseduto dallo spirito vagante di Lagrange o di Maxwell. Grazie come al solito per il tuo intervento. Spero tu stia bene, era un po’ che non ti vedevo qui, anche se leggo sempre i tuoi post. Buona fine d’estate. Fritz.
p.s. il siparietto che racconti con tua sorella è davvero divertente.
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La cosa davvero bellissima (sarcasmo) delle proposte politiche sulla scuola è che ce ne sono tante anche di questo tenore [spero tu riesca a leggerlo]:
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Ahha questa è divertente… dimostra l’assioma del post di Alessandro Montani su Sgarbi, ti invito a leggerlo: https://ilballodeizanzoni.home.blog/2019/04/16/personaggi-orrendi/ e come dice Ale nel post fa strano (ma neanche poi tanto)… che per 30 anni, questo personaggio sia stato associato alla cultura…. Andiamo su Calenda, il post era per il 60% su di lui. Quando era ministro, prese veramente una iniziativa forte per aumentare la produttività industriale del paese, per cui iniziai a reputarlo quasi uno capace, ricordo che l’azienda per cui lavoravo aveva seri problemi per restare competitiva, e quella iniziativa (che ovviamente non fu sfruttata) poteva essere una leva di ammodernamento (so che a distanza di 4 anni, ogni anno, la stessa azienda fa ristrutturazioni, leggasi licenziamenti, per restare sul mercato, senza ovviamente fare un minimo di ammodernamento tecnico). Poi emigrando lo persi di vista. Ora, grazie alla elezioni estive, leggo di lui e della sua campagna elettorale che ha assunto dei toni messianici ai limiti del Messia dei Monty Python.. il che se non avessimo avuto alle spalle 2 anni di pandemia e una guerra a 2000km, sarebbe quasi divertente, ed invece è ai limiti del tragico.
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Ma questa campagna elettorale è delirante di disperazione… accidenti…
guarda, non parliamone ché mi viene la “crisi dell’ostaggio” di Chunk nei Goonies!
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Di Calenda però mi sono sognato che aveva una relazione extraconiugale con mia mamma, almeno, nel sogno, così mi diceva mia mamma:
nel sogno andavo a chiedere conferma proprio a Calenda, a un suo gazebo… Calenda mi vede avvicinarmi e mi guarda negli occhi…
gli dico: «le devo parlale»
e lui: «lo so, lo so…»
a quel punto, nel sogno, non siamo più al gazebo di Azione ma in un bosco…
io dico a Calenda: «ma mia madre è anziana, dovrebbe passare una vecchiaia tranquilla, perché lei la turba con questa relazione extraconiugale»…
e lui mi risponde: «devi capire che io con tua madre ho trovato la felicità!»
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credo che questo sogno non rappresenti nient’altro che la necessità di una mia disintossicazione dai programmi di approfondimento di La7!
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Standing Ovation per aver condiviso questo sogno. Mi stavo per affogare dalle risate. Giuro che mi è mancato il respiro per una decina di secondi. Su La7… è un’arma a doppio taglio. Anche io la guardavo come alternativa alla Rai (Mediaset avevo smesso di guardarla intorno al 1996). Da 4 anni, cioè da quando sono in Belgio e non posso più sintonizzarmi, mi sono accorto di quanto sia salutare non seguirla.
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Caro Pedro grazie per il tuo post sempre stimolante su un argomento che come sai mi sta parecchio a cuore (e non parlo della campagna elettorale di Calenda). Io credo che ci siano due ordini di pensieri che bisognerebbe mettere in campo quando si parla di scuola. Il primo riguarda il perché. Ovvero a cosa serve la scuola? Già qui il sentiero si potrebbe biforcare più volte come in un racconto di Borges. Io credo che serva fondamentale a fare in modo che crescano persone che sanno pensare e che il loro pensiero sia indirizzato al bene. E lo dico fuori da retorica o paternalismi. Per imparare a pensare si possono fare tante materie diverse, tutte con pari dignità, ma credo che, almeno in occidente, la via principale sia l’antica Grecia. E non parlo solo degli albori e della culla della filosofia ma anche del periodo ellenistico, in particolare il metodo di Archimede e i libri di Euclide. Su questo sono in piena sintonia con Lucio Russo. Non credo che per studiare Euclide e Archimede sia necessario fare il classico, io ho che insegno in un tecnico (di piena periferia torinese!) ho deciso di affrontare la geometria euclidea e le basi del ragionamento logico deduttivo con le principali dimostrazioni che nessuno studia (e insegna) più. E si vede. Il secondo punto cruciale è la formazione degli insegnanti. Avere un corpo docente di alto livello incide molto di più delle materie o delle scuole che si fanno. Fino a quando il mestiere di insegnante sarà il raschiamento del barile di chi non trova lavoro, o di chi non vuole lavorare o di chi non sa fare niente o quasi e quindi insegna o di chi vuole il posto fisso e basta, allora la scuola sarà sempre una disgrazia a prescindere. È vero che anche avere pessimi insegnanti serve a formare le coscienze e lo spirito critico ma quando il pessimo comincia a superare il buono e il discreto allora le cose cominciano a non funzionare. Nessuno vuole investire veramente nella scuola perché bisognerebbe aumentare gli stipendi degli insegnanti e allo stesso tempo pretendere che siano davvero preparati non solo sulla loro materia ma anche sulla metodologia, che ci credano veramente è che si dedichino con energia intensa e non come ripiego e con svogliatezza come spesso capita. Quindi il centro della discussione si dovrebbe spostare completamente ma nessuno ha il coraggio di farlo. E questo sostanzialmente perché viviamo nella società del consumo e del materiale per cui di formare persone che ricerchino il bene non frega più niente a nessuno, l’importante è formare consumatori più possibile inconsapevoli e magari con scarsa o nulla capacità di pensiero o di ragionamento. Questo vuole la nostra società che non a caso ricorda l’antica Roma prima del crollo. Spazzata via la sapienza Greca i romani sono riusciti via via a distruggere l’eredità culturale e morale della Grecia e questo ha portato al declino che solo il cosiddetto medioevo è riuscito a risollevare. Al di là delle banalità sul medioevo che si sentono in giro l’epoca medioevale è forse l’unica alla quale guardare oggi per sperare in una sana rinascita della nostra società.
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Ciao Roberto, commento composto, complesso e ricco. Pertanto necessità di una seria riflessione. Partiamo un po’ tutti (non solo te ed io, ma anche in altri commenti) dall’assunto che non esistono materie che facilitano funzioni cognitive più di altre. E secondo me già abbiamo distrutto il primo bias, ed in pratica abbiamo smontato la base su cui la proposta di Calenda, molto malamente provava a reggersi. Vado alla parte più immediata del tuo commento. La necessità che i prof siano motiviti. La motivazione degli insegnanti, è un fattore primario. Se uno studente/classe/scuola si imbatte in un corpo docente, nella sua totalità, senza motivazione, purtroppo si rischia di distruggere quello studente, quella classe, quella scuola. Sono queste manifestazioni frequenti? Non posso rispondere, sicuramente tu hai strumenti per parlare al riguardo. Dai dati che leggo, mi sento di difendere la scuola italiana e non attaccarla perchè i risultati dei test invalsi sono scarsi in media. I risultati sono quelli, non possiamo certo far finta di nulla. Ma le scuole sono calate dove? Le scuole sempre più spesso sono calate in realtà dove la scuola è l’ultimo baluardo di presenza dello stato. I licei top dei top, sono le eccezioni. Poi esistono le scuole (licei compresi) di periferia, la stragrande maggioranza, nel senso più ampio del termine, che non fanno solo scuola. Il lavoro di un insegnate in quelle condizioni è molto più impervio, difficile, spesso demotivante, dall’insegnare in una struttura in cui vi è omogeneità verso l’alto (per predisposizione allo studio, condizioni di supporto famigliare) degli studenti. In più si sommano gli stipendi bassi e lo scarso prestigio del ruolo (che è anche una conseguenza dello stipendio in una società che si basa sull’aspetto materiale) e la frittata è pressochè fatta. Quindi si, a parte le boutade di CC e le riforme (pessime) fatte dagli anni 90 in poi, la scuola, seppur nei suoi sforzi, arranca, in un tessuto sociale molto difficile. A cosa serve la scuola? Domanda esiziale. La tua risposta la condivido. A imparare a pensare, per operare nel bene. Questa è l’unica cosa che conta. Non possiamo pretendere che la scuola sia un parcheggio sociale (visione delle periferie), l’anticamera del posto di lavoro (visione aziendalista degli ultimi 30 anni), la sede in cui le elité si autoselezionano per frequentazione (visione delle zone ZTL, ereditata da certa mentalità classista molto italiana). Come si insegna a pensare? Come detto vi sono molte vie, e a mio avviso, dopo i 12/13 anni, diventa già prepotente in una ragazza (soprattutto) ed in un ragazzo, la necessità di poter cominciare ad esprimersi e caratterizzarsi secondo la propria personalità, quindi avere più possibilità per sviluppare il proprio pensiero, coniugandole alle proprie caratteristiche psichiche e non solo. Ed ovviamente serve la materia prima: insegnanti capaci nel metodo, motivati nello spirito, conoscitori della materia. Mio argomento: Omologare tutti gli studenti, vuol dire inevitabilmente porre le basi perchè ci sia un interesse vago generale, che di certo non giova all’insegnamento, anche per l’insegnate più motivato e capace. Come scritto da te in un commento ad un post di mesi fa, ventilavi la proposta di togliere il valore legale al titolo di studio. Soluzione che deduco vada in questa direzione. Non puoi obbligare quasi per legge, che tutti stiano nel medesimo contesto. Credo che l’argomenot meriti discussioni ampie, cosa che è difficile fare in un blog, figuriamoco in un tweet.
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Hai detto bene: in Italia non esiste solo la città, ma anche la periferia e il piccolo mondo antico della provincia. E non esiste solo il Nord e il Centro, ma anche il Meridione più profondo. Quel Meridione in cui tra un paese e l’altro ci sono chilometri di deserto più totale, e in molti paesi anche popolosi mancano anche le cose più fondamentali: supermercato, stazione ferroviaria, pronto soccorso…
Come hai detto tu, a chi vive in queste realtà viene spontaneo autoescludersi dal liceo. Con il diploma di liceo non lavori, devi per forza andare all’università: ma se vivi in un paese distantissimo da qualsiasi polo universitario e nel tuo paese non passa nessun treno che ti possa portare in facoltà, l’università per te diventa una chimera, irraggiungibile come New York o Pechino. E quindi è meglio iscriversi a un tecnico o a un professionale, perché così dopo il diploma puoi andare subito a lavorare e ti risparmi tutti questi grattacapi.
Questo Calenda non può immaginarlo, perché come hai detto tu è un pariolino abituato a vivere in una realtà come Roma, in cui se hai bisogno di qualcosa ce l’hai subito a portata di mano con uno schiocco delle dita. Devi prendere qualcosa da mangiare? Ci sono 100 supermercati. Devi farti curare? C’è un ospedale ogni pochi metri. Devi andare da qualche parte? Puoi addirittura scegliere se andarci in bus, in treno o in metro. Se Calenda si estraniasse da questa realtà così comoda e vivesse un anno nei territori descritti in “Cristo si è fermato a Eboli”, si renderebbe conto di quanto è poco opportuna la sua proposta. Ma probabilmente Calenda in quelle terre non resisterebbe un mese, figuriamoci un anno.
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Ciao Wwayne, grazie per il tuo commento. Mi piace perchè pone l’accento sull’Italia di provincia, quella che viene sempre ritenuta minore. Alcuni anni fa, uno dei più grandi scrittori italiani viventi scrisse una bellissima frase, tratta dal libro Microcosmi: “Esiste un’Italia di provincia, aliena da livori di campanile e piena di vita e d’intelligenza spesso più dei cosiddetti grandi centri, che si credono cinema di prima visione e sono talora vecchi teatri di posa in fase di smobilitazione. C’e’ chi sa essere attenti ai valori del luogo restando immune da quella visceralita’ municipale che oggi rende spesso così ottusa e regressiva la riscoperta delle identità, in tutta Italia”. Era un invito a considerare la provincia con più attenzione da parte di chi non ci vive, ma anche un invito a chi vive in provincia a non chiudersi (come purtroppo spesso accade) troppo. Di mio, penso che Calenda e tutti gi altri che lo seguiranno, invece che parlare troppo spesso di scuola, ma soprattutto pretendere di decidere che scuola devono fare i ragazzi e le ragazze, soprattutto dopo i 14 anni, quando sono già sulla via della loro individuzione personale, badare un po’ di piu’ a fare in modo che una volta in politica impegnino a dare a tutti le stesse possibilità di andare ad un liceo come ad un tecnico e magari a fare in modo che l’Italia offra più opportunità di lavoro ai giovani, invece che farli scappare a milionate all’estero (negli ultimi 15 anni, si è raggiunto un numero pari a 2,5milioni di persone). Magari impegnandosi come dici tu sulle infrastrutture e sul loro ammodernamento. Pero’ la cosa costa, pertanto meglio riformare la scuola, dato che tra mettere mano alle infrastrutture e riformare le scuole a vanvera, costa meno la seconda. Sulle città. Quello che scrivi è in parte vero, in parte no. Mi spiego. Ho vissuto a Torino 14 anni, lavorato nella periferia milanese due anni. Se è vero che alcuni servizi (ospedali ed università) sono più o meno sufficientemente raggiungibili da tutti coloro che vivono in città, interland compreso (sottolineo sufficientemente), per quanto riguarda il discorso scuola (specie di secondo grado) non è cosi’. Nella stessa Torino (non una metropoli asiatica o sudamericana), tra il liceo D’Azeglio ed uno ubicato in un quartiere già oltre la Crocetta o Vanchiglia (sono due quartieri semicentrali del capoluogo sabaudo, chiedo venia), esistono differenze abissali, forse agli stessi livelli delle differenze che citi tu tra città e provincia. Grazie ancora per il tuo commento.
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Grazie a te per i complimenti e per la risposta! Colgo l’occasione per dirti che ho appena pubblicato un nuovo post, in cui racconto 2 dei giorni più emozionanti della mia vita… spero che ti piaccia! 🙂
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Ciao Wwayne più tardi faccio un salto. Buona giornata
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