Scrivere un post critico nei confronti di Carlo Calenda è un’operazione tanto pleonastica quanto mansueta. Pleonastica, in quanto Crozza, seppur con un altro mezzo, l’ha già fatto in maniera egregia ed irraggiungibile (qui), enumerando le virtù (poche) e i difetti (pochi anch’essi, ahilui) del Carlo (mi gioco un paio di pajate che uno dei sui desideri più inconsci e reconditi sia il venir appellato con l’articolo o la preposizione articolata davanti al nome, lui che da romano pariolino, anela Milano e Torino, come i Dik Dik anelavano la California o più mestamente l’Isola di Wight) e mansueta, perchè alla fine come dicono a Napoli, è un bravo guaglione con un piccolo problema: ha un ego che fa provincia… quella di Isernia.

Il Carlo ha raggiunto notorietà nazional-popolare, perchè un giorno, da manager, di punto in bianco ha iniziato a sentirsi permeato da passione politica (cosa di per sé rimarchevole, in un paese in cui i professionisti si fanno tutti beatamente i fatti propri, finchè l’acqua non ha toccato le proprie caviglie, e che quando decidono di entrare nell’agone politico non vogliono di certo sottoporsi a quella specie di ratifica che sono oramai le elezioni) e come Manzoni dopo la conversione al Cattolicesimo, ha assunto questa propensione profetica e leggermente invasata che in mano ad altri sembrerebbe subito spocchia, ma in lui no. Il suo viso e i suoi occhi parlano più delle parole. Il Carlo è un “tranquillo” nello spirito. Lo vedi che si sente di avere il carisma di un Fra Cristoforo, ma alla fine, anche senza tanto grattare, ha l’indole di un Don Abbondio.

Nella sua ieratica propensione alla conversione altrui, sulla base di un verbo a lui disvelatosi, scendendo a patti con i vili mezzi della modernità, nella sovraesposizione da social media dei tempi attuali, frequentando per necessità quella palestra di imbecillità che si chiama twitter, anche per colpe non sue ma del mezzo, finisce spesso per scrivere pensieri contorti (il che avendo a disposizione 140 caratteri è persino un grande merito), in cui si incarta da solo. Ma non è da un twitt che si giudica un politico. De Gregori ci insegno’ questo assioma ma su un altro terreno.

Ed è cosi’, che sulle orme mazziniane di Ippolito Nievo, dopo aver dato alle stampe ben tre saggi sui destini della patria (qui), il nostro, come un uomo qualunque è caduto sull’ennesima buccia di banana venendo massacrato soprattutto a destra per la sua visione della scuola. Mi tocca riassumere, poichè non posso far durare il post quanto un libro di Faletti:

“Il nostro prospetta un liceo per tutti, non solo per i figli dei privilegiati, magari per un paio di anni, perchè con il liceo, a suo avviso, si metterebbero le basi per la formazione civile di uno studente e della popolazione tutta”.. poi di li’ chi vivrà vedrà, si potrà anche andare in un istituto tecnico.

Ora, al di là della, spero gogliardica, fotografia di Calenda, io onestamento non credo sia cosi’ ingenuo da credere a queste boiate. Ho tutto il dubbio che sia una boutade elettorale volutamente mirata ad acchiappiare voti nel suo elettorato di riferimento: i pariolini di tutta Italia. Quelli (non tutti ovviamente) che credono che se non sei andato al liceo sei un paria della società, e che se hai fatto il classico sei prossimo al vaticinio o quanto meno al soglio di un qualche cardinaliziato. Credo sinceramente sia una sparata per ammiccare a coloro (tanti) che ancora credono che il latino apra la mente (la matematica invece è stato ampiamente dimostrato dalla psicologia cognitiva che porta l’essere umano a diventare un anonimo ed acritico ingranaggio del sistema liberal turbocapitalista sradicante ed alienante ), che il greco rappresenti le fondamenta per diventare poi degli ottimi medici e che guardano con un certo rigurgito di fastidio chi decide di studiare sin dalle superiori chimica, elettrotecnica o informatica tra i paria, automarticamente escludendosi dalla creme della creme. Sono ampiamente convinto, fino a smentita del titolare, che il suo era uno slogan rivolto a molti di coloro che seguono le pagine tipo “Adotta un analfabeto funzionale” o “Abolizione del suffragio universale”, i quali ogni mattina, per sentirsi più intelligenti e socialmente superiori alla media, devono avere una dimostrazione dell’ignoranza altrui, e ricorrendo alle proprie granitiche certezze, ringraziare il cielo di aver fatto il liceo, non mescolandosi con la marmaglia…. gli intimamente fascisti poichè classisti e lo sono a livello inconscio, perchè a livello conscio, credono che essere a favore di qualche diritto civile faccia di loro dei progressisti. Calenda, appunto come Fra Cristoforo, con la sua retorica gonfia e tronfia, si rivolge a tutti costoro, i quali pensano che l’Italia andrebbe meglio se tutti fossero come lei, o come lui. Se tutti quanti avessero avuto i genitori mediamente senza problemi economici, incanalati verso determinate scuole dove non ci si mischia con i servi della gleba. Un paradiso di eguaglianza quasi ai limiti del marxismo teorico ma verso l’alto, verso le vette dell’empireo. Pertanto la soluzione è quella: dare a tutti l’idea che anche tu povero figlio o povera figlia della periferia, del piccolo mondo antico della provincia, del meridione più profondo, della valle alpina più dimenticata, possa sentirti per un anno o due parte della elitè, annusare l’aria che loro respireranno tutta la vita. Diventare grazie all’aver frequentato un liceo uguale per tutti per due anni, sufficientemente colto e un giorno anche tu, essere colui che guarda le pagine in cui si spera di abolire il suffragio universale sentendosi “er piu”.

Ora fare del sarcasmo su Calenda come detto, è alquanto facile quanto vacuo, non serve la dialettica di Schopenauer basta un Salvini qualunque, e quindi lasciamo ai due vate linciarsi amorevolmente sui social. Fare un po’ di sarcasmo su certi italiani è altrettanto semplice e gratutito (salvo circondarsi di qualche rancore) come parlare di scuola a vanvera (cosa che si fa almeno 40 anni). E su questo punto vorrei fermarmi e chiedere l’attenzione ai miei lettori, lanciando qualche domanda.

  1. Non è che in Italia parlare di scuola ed eventualmente poi andando al governo, riformarla (alla peggio) è una pratica abbastanza comune da parte di alcuni politici, perchè è una cosa che è gratis nel primo caso (non intacca il potenziale bacino di voti) e poi abbastanza economico dal punto di vista dei bilanci malandati dello stato? Oggettivamente mi sembra che due dei parametri economici più preoccupanti di questo paese siano: la produttività economica ferma al palo e la sua parabola demografica. Tralasciando la seconda (aprirebbe un post a sè), perchè in campagna elettorale, da che ne ho memoria non si parla mai della prima [1]? Ed onestamente mi sembra che i due parametri economici (preoccupanti) c’entrino con la scuola una beneamata. Mettere mani alla produttività del paese tocca interessi troppo forti e strutture mentali incancrenite (oltre che costare un botto).
  2. La boutade di Calenda ha in sè qualcosa di nuovo per chi parla di scuola (tantissimi) da almeno trenta anni. Se per decenni lo slogan è stato: “Una scuola vicina al mercato del lavoro”, specie dopo il ciclo di scuola primaria e scuola secondaria di 1° grado e la sua aziendalizzazione, la sua esternazione ricorda per vaghissimi capi un po’ la visione dei governi di centrosinistra dei primi anni 60, la quale porto’ alla istituzione della scuola media unica per tutti. En passant, se non fosse per il soggetto che propone questi fantomatici anni di “più liceo per tutti” (e per il suo il bacino elettorale di riferimento) la proposta, seppur scombinata, anche per via del social usato per diffonderlo, sembrerebbe persino di sinistra (non a caso è avversata in maniera furente da destra). Ma mi chiedo… ma non è che uniformare i percorsi di studi, specie dopo una certa età, invece che aiutare i ragazzi e le ragazze, possa crear loro più che altro problemi? Crediamo davvero che per migliorare gli scarsi indici INVALSI della popolazione scolastica italiana, sia sufficiente “liceizzare” tutti gli studenti, credendo che siano tutti uguali, abbiano tutti eguali predisposizioni (specie dopo i 14 anni), e che dobbiamo sinistramente o fascisticamente plasmarli/forgiarli? Davvero qualcuno crede che se a tutti proferissimo indistintamente, specie dopo quella età, le stesse nozioni di filosofia, diritto, educazione civica (forse il sempiterno italicum latino), diventerebbero dei cittadini più consapevoli e mediamente istruiti? Lo dico veramente con tutto il rispetto per chi pensa queste cose. E chiedo di motivare la risposta. Perchè una differenziazione del corso degli studi, più che una sua uniformizzazione dovrebbe portare a sfaceli negli indici INVALSI o viceversa una sua uniformizzazione dovrebbe migliorarli? Veramente credete alla stronzata che il latino apra la mente e che so’ imparare la trigonometria, lo studio delle funzioni, o come funziona una reazione chimica, la programmazione C++, lo studio della statistica no? Veramente credete che studiare per 3 volte la storia delle popolazioni preromane ma anche quelle romane, sia più formativo di sapere che cosa avvenne nel 1978 a Camp David o i rapporti tra Nixon e Deng Xiao Ping agli inizi degli anni 70 per capire il mondo come gira oggi? Veramente, lo chiedo con tutto il più grande stupore.
  3. Gli indici INVALSI, come tutte le statistiche, risentono a mio avviso della battuta di Trilussa sui polli. Se uno ne ha mangiato due ed uno zero, per la statistica abbiamo mangiato un pollo a testa, ma in pratica uno è rimasto a digiuno. Mi spiego peggio. Letti da uno che non mette piede nella scuola/università italiana dal 2010, mi sembra che gli indici INVALSI, siano a occhio, lo dico en passant, più affetti dalla geografia del paese, che dalla scuola. Mi sembra che ci sia un chiaro ed incontrovertibile dato sociale, economico e famigliare: periferie/centri (nell’accezione ampia di papa Francesco, una delle sue piu’ lucide intuizioni, data anche la sua biografia). Se ci si ferma ai numeri nudi e crudi, si finisce per cadere nei bias dello scoordinato, sgarrupato e classista pamphelt (?!) di Mastrocola e Ricolfi: la scuola di massa ha abbassato le performance della scuola rispetto alle scuole di elitè pre-roforma ’62 (ed io ci aggiungere il celeberrimo e graziearkaiser), pertanto l’unica scuola che ancora funziona è il liceo classico, come se questa scuola avesse proprietà taumaturgiche e magiche (questa la tesi dei due torinesi, già riproposta in questo blog con tanto di video a documentare) dimenticandosi il self-selection bias di cui i due, leggendo le pagine, sono sempre stati affetti.. ma il problema è proprio li’. Il liceo classico e i licei ben ubicati a livello di toponomastica, raccolgono i figli della borghesia bene a cui Calenda si rivolge. Ed oggettivamente, che questi licei “performino” bene sul piano dei test INVALSI, mi suona strano, come trovare il mare a Taranto. Io invece voglio lanciare una provocazione. Non è che sono proprio quelle scuole “nelle periferie” delle grandi città del Nord, come delle scuole ubicate nei remoti e dispersi luoghi del Sud, dove la mancanza dell’economia, delle famiglie e spesso dello stato, sono quelle a performare meglio, dato che assurgono anche ad altri ruoli oltre che ficcare nella testa dei propri studenti quattro nozioni di matematica o lettere o storia o filosofia? Non è che sono quelle scuole, l’ultimo baluardo di resistenza allo sfascio delle famiglie per condizioni economiche e non solo, a zone del paese in cui per mancanze di strutture (biblioteche pubbliche, lentezza della rete, mancanza di opportunità di lavoro, scarsità di iniziative culturali, cinema, teatri, opportunità ludiche, palestre etc..) gli insegnanti devono non solo fare il lavoro per cui vengono pagati ma anche: il surrogato spesso dei genitori, gli psicologi, gli educatori sportivi e gli integratori sociali (dato che nelle periferie si scarica in percentuale maggiore anche il peso della immigrazione), gli animatori culturali? Pertanto parlare di scuola, è anche qui, un non voler parlare di come mettere mani alle “periferie”. Non e’ che forse sono le periferie da migliorare e non le scuole?
  4. Il post è diventato troppo lungo. Lascio ai lettori proseguire, invitando a non fermarsi sull’aspetto “elezioni politiche” e personalismi sui protagonisti della stessa (di cui mi importa un fico secco).

[1] Ad onor del vero e giusto perchè mi piace non solo prendere in giro, alla Scanzi, i personaggi pubblici (che fa sempre iperboli tra gli ipereroi del passato e le miserie quotidiane del malcapitato di turno, un metodo tanto retorico quanto vigliacco di criticare i suoi interlocutori). Calenda, quando è stato Ministro dello Sviluppo Economico, è stato uno dei pochi politici italiani, che con il piano Industria 4.0 aveva seriemante preso in considerazione il parametro di produttività economica dell’Italia.