Sono appena rientrato dalla Puglia, dopo averci trascorso con la mia famiglia 9 giorni, cosa che non mi capitava dal lontano 2012.
Ho rivisto con gli occhi di padre la mia terra, il perimetro di vita in cui ho trascorso i miei primi 19 anni. In questi giorni ho visto li’ i miei figli che oramai quasi al limite della loro fanciullezza cominciano a guardare anche questo angolo di mondo con gli occhi dell’incanto misto ad un afflato di tenera consapevolezza. La loro curiosità che ricerca storie famigliari, sapori, profumi, la meraviglia dinanzi agli ulivi, ai mandorli, alle dolci vallate collinari delle Murge solcate dai muretti a secco; lo stupore per le bianche masserie, alcune abbandonate altre trasformate in Resort, pochissime ancora attive come aziende agricole. Stupore ed incredulità per i loro sensi sollecitati, come in tutti gli altri angoli del Sud del Sud, dalla mancanza di pioggia che concentra profumi, colori, rumori, sensazioni tattili al contatto con muri, cortecce, ceramiche, piante ancora verdi nonostante l’autunno.
Giusto per dare alcune coordinate alle lettrici e ai lettori: il perimetro di cui parlo si estende nella provincia di Taranto, partendo proprio dal capoluogo jonico, e si inerpica sulle colline e i boschi che salendo per le colline della Murgia in direzione Bari, sprofonda nella Valle d’Itria, la valle dei Trulli, che in Alberobello esplode in un rione in cui l’unico tipo di abitazione è proprio quella del famoso cono fatto di pietra.
Ho trascorso questi giorni passando del tempo con i miei famigliari, rivedendo cari amici con cui di solito mi rivedo ad ogni veloce capatina nella terra natia, ma stavolta anche amici che non rivedevo da tanti, troppi anni. Per la prima volta ho portato i miei figli anche a visitare posti incantevoli, che oggi vanno per la maggiore su instagram e nei social, dopo che per anni la Puglia è stata pubblicizzata dalle centinaia di studenti fuorisede, specie salentini al Nord, come una sorta di eldorado a portata di mano, una strana ibridazione tra Messico e Sharm El Sheik, con la pizzica come collante, in una regione che diciamocelo chiaro, non ha avuto i fasti della cultura popolare o aristocratica di Napoli o di Palermo e dei loro dintorni… la Puglia era terra di lavoro e rimorso (cit. E. De Martino), visi e distese piagate dal sudore e dal sole. Qui, dove i miei nonni si spaccavano la schiena e si concedevano qualche ballo in giovinezza, ho trascorso ore piacevoli, guardando chi guardava. (Ri)Vedere le case bianche di Locorotondo e Martina Franca, le campagne ricche di ulivi (qui la xilella ancora non ha fatto sfracelli come nel Salento) e vigne, mangiare fino a scassarsi di orecchiette, panzerotti, burrate, mozzarelle ed altre leccornie. Fare fotografie alle “foglie” di fico d’India che a Locorotondo sono esposte come fossero l’ultima genialata bislacca di Warhol. Cosi’ girovagando come turisti tra i tanti, come anime perse in cerca di un qualcosa che soprattutto io a volte sento aver smarrito, ma molto più in intimità rispetto al turista medio (che scappa il proprio luogo in cerca di un “non luogo”)… io “circumnavigavo” la mia terra, trovando e spesso non capendo (o non volendo capire)… accompagnando per mano i miei figli, per cui la Puglia è ancora quella: le terra in cui affonda una delle loro radici, quello che scoprono, quello che racconto e che mangiano, ma soprattuto qualche centinaio di ettaro di terra e case esposto al meglio, pronto al consumo mordi e fuggi di chi arriva per il selfie da pubblicare su un qualche social. Per loro, nativi digitali, l’esperienza diretta con il territorio, non mediata da padre e parenti è soprattutto quella, il cortocircuito tra la pietra e la mozzarella, il mare e il vento, la sagra del… spesso quella dell’ovvietà, che il turismo mordi e fuggi porta inevitabilmente con sé.
Sul mio rapporto di attrazione e repulsione con la mia terra di origine, credo di aver scritto in questo blog diverse centinaia di pagine e francamente non credo vi sia necessità di aggiungere altro. Eppure, per la solita danza della realtà, nella libreria del mio paese di origine mi sono imbattuto a metà del soggiorno, in un libro di uno scrittore/giornalista tarantino che ho avuto la ventura di conoscere questa estate per due episodi abbastanza fortuiti. Nel mese di luglio, un mio amico pubblica un post di un suo nipote, giovane scrittore, in cui si parla di Alessandro Leogrande (il nipote del mio amico gli ha dedicato un saggio). Qualche giorno dopo, il vincitore del Premio Strega, un tarantino di provincia, Mario Desiati (che non ho mai amato particolarmente come scrittore), dedica allo stesso Leogrande la vittoria del premio letterario. Quando nella libreria mi è capitato tra le mani il saggio “Fumo sulla città” di Leogrande per l’appunto (Edizioni Feltrinelli, 2022), con moto involontario mi sono diretto alla cassa per l’acquisto immediato e mi sono subito immerso nella lettura in maniera compulsiva, e li’ uno squarcio si è aperto, in contrapposizione alla Puglia di Instagram, della fuitina, della sveltina, della botta e via.
Mi sono subito precipitate addosso le tante altre anime di questo lembo d’Italia, dimenticate, da me in primis. Le sue ombre di fumi e di psiche collettiva, spesso maggioritarie per persone e luoghi colpiti, tra cui imponente, quella descritta da Leogrande in questo suo collage pluriennale di 3 saggi dedicati alla più sgangherata città del meridione (sue parole, che condivido) specie al binomio industria-città che oramai è diventato un coito interrotto senza discontinuità. La città-fabbrica che sin dal secondo dopoguerra, accoglie altri abitanti del Sud che a Taranto arrivavano per un pezzo di pane, un lavoro da operaio e una vita famigliare dignitosa, come succedeva in altre zone d’Italia, ma a Nord: a Genova, a Milano a Torino soprattutto. Contadini e braccianti che non divennero classe operaia a tutto tondo (non é snobismo, azzeccata è la citazione di Walter Tobagi da parte del giornalista tarantino), molto spesso non presero coscienza di sé come esperimento sociale. Sciorinando numeri su numeri, Leogrande delinea lo sviluppo e la regressione di una città “monstre” che si allarga(va) e si allunga(va) a dismisura, che ha(aveva) bisogno di spazi, dopo che per secoli fu “reclusa” su una minuscola isola, e che con forza centrifuga impazzita ha generato enormi periferie, palazzoni alienanti e sradicanti, in una terra che si vende, (specie nelle zone limitrofe e ancora più a Sud) al turismo con la retorica delle radici, del suo ballo ancestrale, dei suoi prodotti tipici, ma che nel suo intimo, specie a Taranto, ha perso molta della connessione con la sua storia. Una città che ha sacrificato ettari di ulivi e pascoli (ma anche di miseria atavica) alla fabbrica in direzione Nord e su decisione altrui, ma ha altresi’ sacrificato il territorio che si estende a sud al cemento di palazzoni e ville semidisabitate per 8 mesi all’anno, su decisione propria. Agghiaccianti le pagine, in cui Leogrande, da testimone diretto, descrive l’anticipazione di fenomeni politici nazionali, deprecabili e deprecati, che qui ebbero genesi ed epicentro nel lontano 1993. Angosciante la descrizione di una borghesia provinciale insulsa e meschina, che per quattro lire vigliacche (citazione E. Petri) si rintana e guarda, apatica e ignava, come il 90% della borghesia italiana (in questo esiste una perfetta sintonia con il resto del paese) lo sfascio. Implacabile e triste la descrizione della classe operaia che a poco a poco si fa di nuovo proletaria se non sottoproletaria, dilaniata al suo interno dall’atomismo, risultato della disgregazione delle origini, e dell’inurbazione irrazionale delle periferie.
Leogrande mi ha fatto ricordare che la Puglia è anche Taranto, anche nelle dimenticanze, nelle omissioni e nel voler prendere le distanze da essa, da parte di tanti, troppi pugliesi. La terra della taranta è anche qui, in questa città trasfigurata e trasfigurante che fagocita terra, acqua, aria, ma soprattutto storia ed esseri umani, tritandoli e consumandoli o nella alienazione o nel rimando verso un eterne presente, dove il futuro è spesso una costante incertezza o più frequentemente una speranza verso l’ennesima risoluzione dall’alto… il passato invece è un Dio che è stato già sufficientemente calpestato, bestemmiato e dimenticato. Un luogo che non diventa mai tempo, una geografia senza storia, che nel perpetuo aspettare soluzioni aeree, intanto guarda per terra, scorgendovi la polvere che la fabbrica lascia cadere.
Leogrande ci ha lasciato troppo presto, a 40 anni, e come tutti coloro che ci lasciano presto avendo scritto pagine importanti, è difficile intendere che possa esserci una pagina successiva, anche non sua su questo territorio martoriato e dimenticato. “Fumo sulla città” è un saggio giornalistico trasceso in letteratura, pertanto che ha varcato la soglia del tempo. Nel suo libro vi è un senso di compiuto, anche solo nel concentrato delle 300 pagine del libro che ho citato. Il suo acume analitico ha le fattezze di una lama di coltello che scorre sulla pelle emotiva di chi in questo angolo di terra è nato, scendendo passo dopo passo nelle proprie e altrui vene, con fare empatico e non sadico, e che potrebbe interessare anche chi qui non ci ha mai messo piede, ma vede il degrado o forse anche solo il declino italiano, altrove, nella propria di terra, lontana da qui, con una derivata diversa magari, ma sempre in segno negativo. Un saggio che è un invito a guardare la propria ombra, cittadina (nel senso più lato del termine), un po’ come gli psicologi invitano a fare con la propria ombra psichica, per cercare di integrarla, o quantomeno domarla al fine di risvegliare nuove energie, anelare un impercettibile ma consistente rinnovamento, una speranza che si faccia gravida di idee e fatti e non come sempre il solito stupido eterno rimando a soluzioni “divine” secolarizzate o alla cazzata sesquipedale del turismo come leva per sollevare i destini del mondo. La lettura di questo libro mi ha portato alla riscoperta dei nostri padri, i padri dei tanti pugliesi della diaspora degli anni 90. Moltissimi dei nostri genitori erano operai in quelle fabbriche e frequentavano quotidianamente quella città cosi’ sgangherata e cazzara. In quelle fabbriche hanno trascorso decenni, dando comunque certezze a noi figli (un lavoro sicuro e una fanciullezza pur sempre vissuta nella terra delle nostre radici, almeno per noi che non eravamo meridionali emigrati in un altro Sud), molti dei quali ci hanno poi rimesso la pelle, morendo con malattie brutte e pesanti contratte dopo tanti anni di lavoro tra altoforni e cokerie (come le tante e i tanti, anche piccoli, non solo anziani o meno anziani, che le malattie se le sono beccate lo stesso, senza mettere un piede in fabbrica).
Leogrande come compensazione a Instagram. La Puglia è anche Taranto. Soprattutto Taranto. Una promessa non mantenuta, un groviglio storico e sociale, un dilemma costituzionale, uno spettro che si aggira vagabondo, sulle lande fotografabili di Instagram a pochi passi dalla grande città-fabbrica.
Grazie per questo viaggio che mi hai fatto fare in terra pugliese,dove ho vissuto gli anni della mia adolescenza ( proprio a Taranto) ,ne ho dei ricordi bellissimi e spero di poterci tornare per una vacanza molto presto. Ho lasciato amici cari degli anni del liceo con i quali sono sempre in contatto, amicizie che ti porti dietro per una vita. Leggerò il libro da te sgnalato. Grazie ancora!
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Ciao Dani, ricordavo del fatto che avessi vissuto a Taranto in base ad un commento di qualche tempo fa. Sono contento che tu abbia bei ricordi. Spero che il viaggio in città, ora, non ti crei delusioni. Comunque è sempre bello poter rivedere persone a cui si è legati. Il libro di Leogrande lo consiglio caldamente, non solo ai tarantini e a chi ha a cuore questa città. E’ un grande esempio di saggio giornalistico, se poi volessi darmi unr iscontro sul libro e sul tuo viaggio a Taranto, ne sarei veramente felice. A presto.
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Molto interessante 🙂 dalla Puglia ai tuoi occhi al saggio di Leogrande che va in profondità…
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Grazie Maria per il tuo commento. Contento del tuo ritorno qui. La Puglia è una terra ricca di bellezze e profonde contraddizioni. Il saggio di Leogrande in questo è una opera molto importante.
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Grazie a te per il viaggio!
Sì, come hai descritto il saggio, lo rendi interessante e credo se lo meriti 🙂
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Se poi lo vorrai leggere, ci tengo da una attenta lettrice ed osservatrice come te un ritorno 😉
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Lo terrò presente 😃
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“(Ri)Vedere le case bianche di Locorotondo e Martina Franca, le campagne ricche di ulivi (qui la xilella ancora non ha fatto sfracelli come nel Salento) e vigne, mangiare fino a scassarsi di orecchiette, panzerotti, burrate, mozzarelle ed altre leccornie. Fare fotografie alle “foglie” di fico d’India che a Locorotondo sono esposte come fossero l’ultima genialata bislacca di Warhol. Cosi’ girovagando come turisti tra i tanti, come anime perse in cerca di un qualcosa che soprattutto io a volte sento aver smarrito, ma molto più in intimità rispetto al turista medio (che scappa il proprio luogo in cerca di un “non luogo”)… io “circumnavigavo” la mia terra, trovando e spesso non capendo (o non volendo capire)… accompagnando per mano i miei figli, per cui la Puglia è ancora quella: le terra in cui affonda una delle loro radici, quello che scoprono, quello che racconto e che mangiano, ma soprattuto qualche centinaio di ettaro di terra e case esposto al meglio, pronto al consumo mordi e fuggi di chi arriva per il selfie da pubblicare su un qualche social. Per loro, nativi digitali, l’esperienza diretta con il territorio, non mediata da padre e parenti è soprattutto quella, il cortocircuito tra la pietra e la mozzarella, il mare e il vento, la sagra del… spesso quella dell’ovvietà, che il turismo mordi e fuggi porta inevitabilmente con sé.”
Tutto il tuo post è molto ben scritto, ma questo è senza dubbio il passo più suggestivo.
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Molte grazie Wwayne, detto da una persona di lettere, come nel tuo caso, mi fa immensamente piacere.
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Grazie a te per la risposta, e buona Domenica! 🙂
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Ho letto con piacere il tuo ritorno alle radici: cose che fanno sempre bene al cuore, e tengo presente il libro perché sono sicura che sia una lettura importante, oltre che doverosa.
GRAZIE
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ciao Claudia, grazie a te per il bel commento. Buon avvicinamento alle feste di Natale.
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GRAZIE! Come sai, io amo il Natale.
Spero che possa essere un periodo magico anche te e per la tua famiglia!
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Ciao Claudia, si, ricordo i tuoi post in prossimità del Natale molto colorati. Volevo inoltre dirti che nel post t come tag ti ho targata.. ma non so se ti è arrivato il tag. Se vorrai partecipare ne saro’ contento. Buon weekend
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GRAZIE!!
Mi devi davvero PERDONARE!!
Ho le tue mail: ho visto che hai scritto anche sui Litfiba, ma sono rimasta indietrissimo con le letture.
Però arrivo eh!
Piano piano, arranco, ma arrivo.
Scusami ancora tantissimo!
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Nessun problema Claudia 😉 😉 Buon Natale.. goditi la famiglia e le feste, non farti problemi!
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GRAZIE!!
Buone feste anche a voi!
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