Post volutamente sciatto e scritto di getto, senza tanti fronzoli.
A distanza di 44 anni dall’accaduto, dopo dozzine e dozzine di libri scritti sul “caso-affaire” Moro (una produzione letteraria e documentaristica che definire copiosa appare quasi eufemistico), dopo diversi film girati sull’accaduto (da Ferrara negli anni 80 a Martinelli negli anni 2000, a Giordana, seppur di sfuggita negli anni 2010), dopo che già nel 2003 Bellocchio stesso si era cimentato in una narrazione “onirica” e molto “personale” (a mio avviso uno dei pochissimi film brutti del regista emiliano) della vicenda che colpi’ il politico democristiano, dopo diverse rappresentazioni teatrali e cinematografiche in cui Gifuni ha già rappresentato Aldo Moro… era davvero necessario questa ennesima “puntata”?
Come scritto nel post precedente, in Italia esistono diverse, troppe scomode vicende accompagnate da un senso di “non detto”. L’affaire Moro, come venne appuntato da Leonardo Sciascia in un suo memorabile saggio, è con ogni probabilità quello che simbolicamente, ma anche storicamente (anche per la portata e il calibro dell’uomo che venne colpito) ha segnato nel profondo l’opinione pubblica italiana e internazionale, il rapporto di fiducia popolazione-istituzioni, élite-masse, per quanto riguarda la storia recente (neanche poi tanto… siamo al mezzo secolo di distanza oramai) dell’Italia.
Un punto di rottura di questo calibro, accompagnato da una allora enorme quantità di “non detto” non poteva che generare in seguito una altrettanto portentosa valanga di “mo’ ve lo dico io”.
Pertanto, pur reputando la serie un’opera cinematografica di alto livello tecnico, sia per la bravura registica e tecnica di Bellocchio e del suo staff (scenografia, fotografia e montaggio), sia per le interpretazioni dei protagonisti (lodare Gifuni, Buy, Russo Alesi, Pierobon diventa pura retorica se non esercizio di stile), mi chiedo… soprattutto dopo aver letto una dichiarazione di Maria Fida Moro, nei giorni di diffusione televisiva della serie, in cui la figlia dello statista pugliese invita a lasciare in pace la sua famiglia data questa continua e fluviale produzione artistica sul padre e per conseguenza sulla di lui famiglia: “Non sarebbe il “caso“, di mettere un punto finale alla “narrazione” (uno dei pochi momenti in cui usare questa parola ha un senso”) sul “Caso“?
Lascio di seguito quattro punti di domanda a cui non riesco a trovare risposte personali e definitive e che sicuramente, per paradosso, non vanno nella direzione della conclusione di questa vicenda.
- Cosa ha aggiunto questa serie a tutto quello che già non è stato detto e scritto, recitato e girato nei passati 40 anni?
- La serie è una specie di complemento a quel film scombinato e sconclusionato, molto di maniera realizzato nel 2003? Una specie di esame di riparazione?
- A distanza di 20 anni circa da Buongiorno Notte, questa serie si rivolge ad un pubblico più giovane che quegli anni non li ha minimamente vissuti? Chi era piccolo o adolescente nel 1978, oggi veleggia allegramente tra i 50 anni e i 60 anni!
- Il fatto che si preferisca ancora la “narrazione” alla “storia”, non è una sorta di alibi per non chiudere una volta per tutte una pagina buia della storia di quegli anni?
Forse mai come ora è possibile avvicinarsi ai diversi piani di realtà che riguardarono l’assassinonio della scorta in via Fani e il successivo assassinio di Aldo Moro. C’è un piano familiare che riguarda 6 persone e le loro famiglie, come in ogni evento tragico la loro vita è stata stravolta, ma qui all’evento si aggiunge la motivazione che ha una radice politica. Nessuno si occupa mai di chi sopravvive eppure sono loro i testimoni delle conseguenze di ciò che accadde. Seguire le loro vite, vederle, come nel caso di Bellocchio, durante lo svolgersi del rapimento, apre a molte domande sul lecito e l’illecito nella lotta politica. Chi paga è chi si erge a giudice. Altro piano è quello complessivo sociale, nella parte finale Bellocchio ne accenna. Posso dire per esperienza diretta di sindacalista che seguii la vicenda dalle prime fasi, nei luoghi di lavoro. All’inizio non c’era consenso unanime allo sciopero generale, il potere democristiano aveva pesato non poco nei giudizi di sacrificare per un partito sentito distante dai lavoratori. Poi è subentrata una progressiva rimozione e il fatto è diventato uno dei fatti che accadevano. La stessa morte suscitò meno emozione del sequestro. La mia è una esperienza piccola ma stranamente trova non pochi punti di contatto con quanto Bellocchio evidenzia. Il piano sociale è quello politico furono ambigui. Le brigate rosse segnarono la loro fine con il sequestro Moro, non solo non vi fu insurrezione ma il paese moralmente è politicamente si mosse verso l’indifferenza sociale e il craxismo. Una lettura umana della storia è la storia delle famiglie e degli uomini. Una lettura sociale è l’accelerazione di un processo che scinde politica e società. Una lettura storico politica evidenzia che i molti interessi alla morte di Moro erano conservativi del sistema e che Moro vivo avrebbe rappresentato una rottura tra un prima e un dopo che poteva mutare la società come le morti dei singoli mutarono le famiglie. Erano morti a causa di, ma la morte di Moro chiuse il caso a fatto di criminalità politica e impedì che mutasse il corpo del Paese.
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Grazie per questa corposa testimonianza e per la ricchezza delle risposte, specie perché frutto di viszuto in prima persona. Non è mai facile parlare di cose così dure vissute in prima persona. Concordo nella tua lettura su più piani, alla luce di quanto ho letto sul caso Moro in tanti anni. Resta un grande, enorme, gigantesco e monumentale punto, che da 44 anni, nessuno vuole indagare a livello e che ne’ la serie ne i film precedenti hanno approfondito. Anche il tuo bellissimo commento purtroppo non lo affronta. La serie, segmentata tra: maggiorenti DC, Paolo VI, Ministro Interno, terroristi, moglie/famiglia, e poi seppur sui tre piani di lettura: sociale, famigliare e politico manca e continua a non voler vedere e approfondire. Per quello resta una ennesima puntata già vista.. non voglio dire apertamente chi manca… mi piacerebbe capire se è una mia impressione o una riflessione che anche altri hanno fatto sia in occasione di Esterno notte, sia nelle occasioni precedenti.
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Comunque Willy, la tua riflessione sul piano famigliare è molto bella. Bellocchio è stato a mio avviso molto chiaro al riguardo.. la famiglia comunque a 44 anni dell’accaduto ha diritto a separarsi dalla narrazione artistica e al dovuto oblio. Siamo al mezzo secolo di distanza.
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Hai ragione, la famiglia ha il diritto alla riservatezza e alla verità, non le è stata data né l’una né l’altra. Come accade nei fatti che sono un nodo o uno spartiacque della storia e della società, concorrono in diverso grado le volontà attrici. Tra pupari e pupi le cose si mescolano e prevale il convergere degli interessi che porta ad un fine. Coagula un fatto ma gli antefatti lo lasciano nudo e privo di una consequenzialità.
Se la famiglia ha il diritto al silenzio, proprio perché fu ucciso e perché è parte importante della storia di questo Paese, Moro diviene fondamentale per capire le verità che riguardano Lui e tutti. Ovvero se oltre le parole, questo paese sia davvero libero, se la democrazia abbia un significato, se siano o meno rimaste, sotto altra sembianze le stesse condizioni che possono muovere o rimuovere in conseguenza di decisioni prese da metà poteri che risiedono chissà dove, ecc.ecc.
Moro scrisse che in cambio della vita voleva non partecipare più alla politica, al governo dello stato, questa cosa riguarda tutti noi e non ha mai avuto risposta.
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Il punto è esattamente questo ma non solo (manca sempre un tassello a mio avviso.. lo esplicitero’ nei prossimi giorni, nel caso nessun commento lo evidenziasse). Visto che molto non si può o non si vuole dire, per ragioni di stato, forse sarebbe il caso, per rispetto di una famiglia che non potrà avere mao la verità sulla morte di un caro, di mettere una volta per sempre il punto fine a questa valanga di film, libri e serie. Dato che la “storia” non si può scrivere, allora finiamola anche con la narrativa, anche perché di narrativa ce ne è stata a sufficienza. Esiste un limite privato che deve essere rispettato, specie dopo 5 decenni. Chi vuole ha già a disposizione una bella cinquina di film e chi vuol documentarsi, trova valanghe di materiale cartaceo ed elettronico. Moro fu chiaro nelle lettere circa il suo abbandono della vita politica (hai fatto bene a ricordarlo).. proprio per questo, la politica della fermezza, se poteva essere uno sbocco abbastanza ovvio da parte della classe politica che aveva governato il paese per 30 anni…. e non aggiungo altro.. spero di aver lanciato l’amo per l’ultimo tassello…
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