A qualche ora di distanza dalla mia ora di nascita, le 20.30 del 19 giugno di 43 anni fa, la prima estate si apriva ai miei occhi ancora grigi e semichiusi, prima fra le tante estati calde e secche alla luce levantina e meridiana del sole di Puglia.

Forse per quel nascere in cuspide, con un piede nella primavera con l’altro nell’estate, la mia vita è stata spesso sospesa su tanti confini, reali ed immaginari, creati e distrutti, amori anelati e mai vissuti, cambi drastici e repentini che si sono conclusi nel giro di un solstizio.. forse al massimo al volgere di un equinozio.

L’estate è stata e continua ad essere una degli atti incompiuti della mia vita, un pò come tanti altri. La inseguo per mesi, per poi fuggirne. Sempre in ricerca di quel sole da cui poi rifuggo una volta arrivato. Mi ritrovo in questa metafora (ma poi mica tanto), nelle parole che Novecento, il pianista della Leggenda sull’Oceano, diceva al suo miglior amico Max Tooney.

In questa estate “sospesa” un pò per tutti, la mia si carica elevandosi di potenza rispetto alla già incompiuta estate che attanaglia chissà quante milioni di persone. Sono arrivato al quinto mese senza lavoro, ancora appeso ad un’azienda che si spera mi manderà non dico un contratto di lavoro, ma quantomeno una lettera di assunzione la prossima settimana. Ma la cosa che ti devasta e ti rode ancora di più, e ti fa sentire veramente giù, è nel mio caso, il peso della burocrazia, quella del paese dove mi trovo, ma anche di quello di origine, nelle sembianze della mai ultima sede provinciale INPS di riferimento che sembra non voler entrare in empatia con chi lontano dalla propria terra, avendo perso il proprio lavoro, ha solo bisogno di un documento per poter accedere ad un sussidio di disoccupazione che possa permettere di respirare, non di certo di fare la vita del nababbo.

Ebbene, in una delle mie tante estati fottute, il mio cruccio resta quello: vedersi sbattere la porta in faccia, dall’ufficio tal dei tali che ti dice: “Il modulo Y o lo vieni a prendere tu qui in Italia di persona, fisicamente, oppure lo chiede l’organismo pensionistico del paese dove risiedi”. E io resto qui, con l’organismo attuale che mi dice che l’ha richiesto, e l’INPS che continua a fare lo gnorri.

Mi accorgo di aver divagato… avevo voglia di scrivere delle parole su Bruno Martino, che all’estate dedicò due splendide poesie, melanconiche e oniriche, ma proprio per questo “sospese”… tra i tanti mondi reali ed immaginari in cui viviamo, specie d’estate.

Estate, sole di Puglia della mia infanzia, lontana dal mare pur avendolo a due passi, della mia adolescenza passata in un laboratorio, mentre i miei coetanei ne godevano i profumi sulle onde del mare, della mia giovinezza, passata tra le rive del Po, quando la calura umida di Torino, ti portava tra i colori intensi della Murgia natia… fino ad arrivara in Belgio, dove il tempo è un’idea come un’altra (cit. Paolo Conte), dopo aver perso molto della mia vita, ricalibrando un futuro nebbioso, lottando con una burocrazia asfissiante.

“E la chiamano estate”. Bruno Martino

https://www.youtube.com/watch?v=9Bs074vjpaQ